Esselunga, Conad, Coop, Eurospin e Lidl, nell’ordine, sono ai primi posti fra i retailer italiani preferiti, con una top five che si presenta invariata rispetto allo scorso anno. A dirlo è Dunnhumby, che ha reso disponibile la terza edizione del suo Rpi (Retail preference index italy), lo studio annuale che mira a individuare i desideri dei consumatori rispetto all’offerta alimentare.

L'inflazione batte la pandemia

In particolare, sono stati coinvolti 36 gruppi, con negozi fisici e online, e 4.500 clienti, a proposito dei fattori che, secondo loro, rendono un marchio più appetibile di un alto. Rispetto all’edizione 2021 si nota che, se il contraccolpo della pandemia continua a fare sentire i suoi effetti, esso sembra non rappresentare più la principale discriminante. Emergono invece tre elementi, altrettanto problematici: l’inflazione persistente, la situazione politica e gli effetti dell’invasione dell’Ucraina.

Aspetti come la varietà dei prodotti e l’esperienza d’acquisto, per esempio, lasciano posto alla marca del distributore, a testimonianza di un’attenzione sempre maggiore verso una spesa conveniente, ma in cerca di qualità, spesa che dà il giusto peso al prezzo percepito, in tutte le aree del Paese.

In termini di performance Esselunga, come detto, si riconferma ancora una volta in cima, aggiudicandosi il primo posto assoluto per la “connessione emotiva” e il secondo per l’aspetto economico.

La crescente influenza degli elementi legati al risparmio è, inutile dirlo, riconducibile alla situazione finanziaria in cui si trovano oggi molti consumatori.

Quasi 9 su 10 (88%) affermano di avere riscontrato un aumento dei prezzi degli alimentari negli ultimi 12 mesi e, tra questi, la metà (49%) sostiene che essi sono molto più alti rispetto allo scorso anno. Di media in Italia, l’inflazione percepita supera, di quasi 13 punti, quella reale.

Emerge, inoltre, una distinzione: i clienti in cerca di valore aggiunto prediligono fare acquisti presso retailer più economici (37%), anziché comprare marche a basso costo (18%). In sostanza il vissuto dell’insegna conta di più di quello della marca.

La fiducia non è più una cosa seria

Abbiamo parlato di “connessione emotiva”, ma di cosa si tratta? Del mix fra i cinque parametri che costruiscono il rapporto fa Gdo e clienti. L’anno scorso, al terzo posto in ordine di importanza, c'era la fiducia, definita come la “capacità di realizzare iniziative utili per i clienti”. Nel 2022, essa scende all’ultima posizione, mentre le voci più sentite sono la “delusione in caso di chiusura”, ossia un palinsesto di orari ampi e adatti ai bisogni di tutti, e “consigliabile”, cioè la disponibilità di raccomandare ad altri quella data insegna/negozio.

In pratica da un concetto più generale e astratto di affezione, si passa a criteri di valutazione pratici e oggettivi: il supermercato è aperto quando mi serve e sono disposto a suggerirlo ad amici e parenti.

Nonostante l’esperienza di acquisto rimanga al primo posto per la spesa online, tra i fattori che condizionano le preferenze verso il canale telematico emerge l’assortimento, oggi altrettanto determinante.

La personalizzazione, relativamente trascurabile nel 2021, balza, inoltre, al terzo posto nel 2022, come parametro valutativo del commercio elettronico.

Dal punto di vista demografico, gli shopper online rientrano nella fascia più bassa di età (18-34) e in quelle più alte di reddito, spendono più della media in generi alimentari e sono più soddisfatti delle esperienze di acquisto, valutando il rapporto con il distributore con punteggi superiori rispetto a chi fa solo acquisti nei negozi fisici.

Ma questi clienti potrebbero anche essere più difficili da ingaggiare: alla domanda sul numero di punti vendita frequentati su base mensile, le risposte di chi acquista solo nella rete fisica si riferiscono a un totale di 4,7, mentre, nel gruppo degli shopper online, il numero sale a 6,4, un pellegrinaggio, senza dubbio, favorito dall’elasticità del mezzo digitale. Un conto è stare davanti a un pc o e un altro è cambiare percorso.

Va detto che se gli shopper omnicanale rappresentano uno dei gruppi più interessanti dello studio, la maggior parte delle insegne oggetto del sondaggio ha una base di clientela ‘mista’ (online + offline), che si attesta, tuttavia, appena al 10 per cento. Ma, a parte questo, i clienti multicanali mostrano tendenzialmente una “connessione emotiva” più forte con i propri retailer.

Tenendo conto di tale aspetto e della maggiore disponibilità di spesa dei fan del digitale, i retailer si trovano di fronte, secondo Dunnhumby. a due imperativi. In primo luogo, individuare gli shopper omnicanale esistenti e fare tutto il possibile affinché essi rimangano fedeli. In secondo luogo, ricercare i consumatori che sono fedeli all’insegna in un canale, ma acquistano dai concorrenti in un altro, cercando di capire quali elementi rendono difficile, nell’ambito della medesima insegna, una completa svolta verso l’alternanza online/offline.