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Coronavirus 1: l'impatto macroeconomico

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Coronavirus 1: l'impatto macroeconomico

Coronavirus 1: l'impatto macroeconomico

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Fabio Massi

Il coronavirus rischia di mietere anche una vittimo molto illustre: la nostra economia.

Ne è persuaso, tra gli altri, Ref ricerche. Secondo l’istituto milanese il conto è salato: almeno 9 miliardi di prodotto interno lordo nazionale, e fino a 27, a seconda dell’evoluzione dell'epidemia, un fatto che spinge naturalmente a un clima di grande incertezza.

La stima considera l'impatto diretto della diffusione del virus nelle regioni italiane, con effetti immediati e di più lunga durata, a seconda del settore. Si ricorda che Lombardia e Veneto, le due aree dove maggiori sono stati i casi e più drastiche le misure di contenimento, contano per il 31% del Pil italiano. Aritmeticamente, una contrazione del 10% del prodotto interno lordo in queste due sole regioni, significa una diminuzione del 3% di quello dell’intero Paese.

La flessione, stimata per l'intera economia nazionale, va da un 1% a un 3%, misurata come variazione cumulata nel primo e nel secondo trimestre 2020. Infatti, la scoperta dei primi casi, le misure di contenimento e la diffusione della paura tra la popolazione, sono avvenuti nell'ultima decade di febbraio e quindi incideranno solo su una parte del primo trimestre, mentre dispiegheranno appieno i loro effetti nel secondo.

Quest'ultima stima si basa su una valutazione degli effetti sui singoli settori, raggruppati in 4 categorie, in base al range di probabile variazione del rispettivo valore aggiunto e poi calcolando il peso di tali categorie sul Pil totale.

Il primo gruppo comprende quei comparti che vedono aumentare fra il 2 e il 6% la loro attività, in conseguenza dell'epidemia virale: farmaceutica, cura della casa e servizi connessi allo smart working e alle video conferenze. Il peso è dell'8,5 per cento.

Il secondo raggruppamento – servizi generali di utilità, agricoltura, pubblica amministrazione - è di gran lunga il più importante (54,6% dell'intera economia) e non patisce sostanziali variazioni di attività, a causa del contagio.

Il terzo – manifattura, commercio non alimentare e all’ingrosso, energia e costruzioni - incide per il 25,1% e patisce una contrazione produttiva limitata (al massimo del 4%). Infine, c'è l'insieme dei settori che stanno subendo contraccolpi violenti (tra -10 e -40%), ma che hanno un peso realativamente limitato, dell’11,7%: dalla filiera del turismo, a tutte le attività legate all'aggregazione sociale.

“Queste stime – avverte Ref - hanno un alto grado di congettura e, tuttavia, fanno comprendere in modo chiaro e realistico l'entità del danno che l'Italia sta subendo. Alcune di queste flessioni potranno essere recuperate, nel senso che l'attività potrà tornare rapidamente ai livelli che si sarebbero avuti senza l'epidemia. Altre sono destinate a durare a lungo, per esempio quella patita dal turismo, anche per una sorta di esorcismo che il Paese sta subendo. Infine altre potrebbero non tornare più, vuoi a causa della chiusura di imprese, se la caduta di attività dovesse protrarsi, vuoi per il cambiamento di comportamento dei consumatori, come il maggiore ricorso agli acquisti on-line”.

Rispetto alle tendenze prospettate, possono essere avanzate ipotesi diverse, tanto in direzione migliorativa, quanto peggiorativa. Lo scenario più favorevole si collega all'eventualità di una soluzione rapida e positiva dell'epidemia, per esempio per effetto di una riduzione dei casi con l'approssimarsi della stagione primaverile, e nell'eventualità di progressi nelle ricerche finalizzate alla produzione di un vaccino.

Il panorama più negativo si materializza, al contrario, a seguito dell'estensione del contagio a un numero crescente di Paesi, tale da estendere i blocchi produttivi e aumentare il numero delle filiere che andrebbero incontro ad azzeramento delle scorte di semilavorati.

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