Parmalat rischia di trasformasi in una doppia vergogna italiana, intanto per il modo brutale e truffaldino con cui, a suo tempo ha trattato i propri azionisti e, in secondo luogo per il modo con cui si sta selvaggiamente cautelando da una scalata francese, contro la quale il Governo e in particolare il Ministro Giulio Tremonti  stanno architettando una legge per la difesa delle imprese strategiche (concetto quanto mai labile), appositamente studiata per proteggere Edison dagli approcci di Edf e il gruppo di Collecchio da quelli di Lactalis.

E’ vero che i nostri cugini francesi non sono da meno, avendo anche loro un apparato ben saldo per difendere le proprie grandi imprese (chi non ricorda le ormai storiche gesta di Carlo De Benedetti nell’Esagono?), ma è altrettanto vero che o si è liberisti o non lo si è affatto, o si è in un mercato dove a prevalere è il migliore o non lo si è per niente. Tanto più che Parmalat produce food e non armamenti o energia e dunque, a rigore, la proprietà francese verrebbe a ricadere su un terreno, l’alimentare, che non è affatto pericoloso per la sicurezza e l’equilibrio nazionale. Magari su queste cose, visto che siamo in una Comunità Europea, non guasterebbe qualche segnale da Bruxelles.

E poi, parliamoci chiaro, ma viene da ridere quando si parla di vero made in Italy, se si pone mente a una recente ricerca di Coldiretti/Eurispes. In base allo studio circa un terzo della produzione complessiva dei beni agroalimentari venduti in Italia ed esportati deriva da materie prime agricole straniere, trasformate e vendute con il marchio Made in Italy. Il fatturato del “Made in Italy” (le virgolette sono di rigore) realizzato con prodotti agricoli stranieri è stimato pari a 51 miliardi di euro e riguarda sugli scaffali due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all'estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all'insaputa dei consumatori e la metà delle mozzarelle che sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere.

In chiusura è doveroso riassumere i fatti: Lactalis che già controlla Galbani, Locatelli, Invernizzi, Vallelata e Cademartori, mediante un rastrellamento azionario, è salita prima all’11,4% di Parmalat e poi ha conquistato il 29% (vicinissimo a quel 30% che rende l’Opa obbligatoria) rilevando le quote in mano ai fondi Zenit, Skagen e Mac-Kenzie. A questo punto si è aggiudicata i numeri per avere 9 posti su 11 nel Consiglio di Amministrazione. Sull’altro piatto della bilancia ci sarebbe l’ipotesi italiana, guidata da Ferrero e caldeggiata dalla banche, in primis il gruppo Intesa San Paolo.