Che i conti non tornassero, era evidente. Ciò che la vox populi andava sostenendo da tempo, inevitabilmente, è stato confermato: i prezzi corrono più di quanto abbiano detto finora le statistiche. L’aumento dei prezzi al consumo registrato (finalmente) dall’Istat nei giorni scorsi sfiora in media il 3% su base annua (+0,9% il dato di gennaio rispetto a dicembre 2007), attestandosi però pericolosamente al 4,5% nei prodotti alimentari e nelle bevande analcoliche.

I generi alle stelle
Tra gli aumenti più vistosi vi sono quelli del pane, cresciuto del 12,3% rispetto a un anno fa, e della pasta (+10%). Ma anche gli altri generi non scherzano: latte, formaggi e uova han fatto un balzo del 6,5% (il latte da solo aumenta dell’8,7%), pesce e carne del 3,6% (il pollame del 6,7%), la frutta del 4,8%.

La svolta dell’Istat
È stato sufficiente che il rilevamento dell’Istat tenesse conto – ed era ora - di un paniere più vicino alla reale borsa della spesa per fare emergere un quadro più veritiero della situazione prezzi nel nostro paese. Alle fonti di turbolenza internazionale (listini di petrolio, grano e cereali spinti dalla forte domanda di paesi emergenti come Cina e India) si aggiungono, nel caso italiano, altri due elementi che complicano le cose: la bassa produttività e la scarsa concorrenzialità di distribuzione e imprese, due pesanti handicap che finiscono per ripercuotersi ulteriormente sui rincari dei prezzi e quindi sulla corsa dell’inflazione.

Le polemiche sulle responsabilità
«Sul caroprezzi la gdo non c’entra» ha dichiarato Paolo Barberini (si veda l’articolo di Bernardo Camasi pubblicato su DM del 18 febbraio scorso). Non abbiamo motivo di dubitare delle parole del presidente di Federdistribuzione quando difende strenuamente la gdo italiana dalle accuse di essere tra le principali cause degli aumenti dei prezzi, accuse definite “strumentali”. Che la rete distributiva nazionale sia ingessata da inefficienze di filiera e da tanto promesse quanto mancate liberalizzazioni, è un dato di fatto. A ciò si aggiungono annosi problemi di carattere più generale come il costo della manodopera e la scarsa flessibilità nel mercato del lavoro.

Il rinnovo del contratto
Proprio su questo fronte si gioca in questi giorni una partita importante nel settore della distribuzione commerciale. E’ infatti in corso un braccio di ferro tra i sindacati e Confcommercio per il rinnovo del contratto collettivo nazionale, scaduto da oltre un anno. A fronte di una richiesta di aumento di 78 euro lordi, l’associazione dei commercianti ne propone 55, auspicando inoltre una serie di modifiche al contratto stesso che vanno nella direzione di una maggiore produttività, flessibilità e derogabilità. Risultato: una giornata di sciopero indetta per il 21 marzo, a cui se ne aggiungerà una seconda entro l’inizio di primavera.

Gli scenari futuri
La situazione, come si vede, non è delle migliori. E non riguarda peraltro solo la distribuzione moderna. Ma le cose potrebbero persino peggiorare sul piano macroeconomico nazionale. Nei giorni scorsi sono arrivate infatti da Bruxelles le stime di crescita dell’Italia per il 2008 e si tratta di un’altra doccia fredda, in quanto costituiscono non solo il dato più basso dei paesi Ue (sotto l’1%), ma sono stati rivisti al ribasso. Sperare in risultati taumaturgici post elettorali sarebbe da veri ingenui. Il desiderio di tutti gli italiani, però, è che ci si rimbocchi le maniche e si cominci a darsi seriamente da fare.