Nuove soluzioni, comunque obbligate e con rovesci finanziari, per le società estere che ancora operano in Russia: non la semplice uscita, ma la vendita delle attività locali.

Sessanta miliardi di perdite

Se da un lato gli stranieri mettono in salvo, in questo modo, una parte dei propri investimenti, si calcola che le multinazionali abbiano già lasciato sul terreno qualcosa come 60 miliardi di dollari, a causa di sanzioni, mancate vendite e sofferenze creditizie.

E se 1.000 aziende hanno già chiuso, a forzare la mano agli stranieri sono ora anche nuove leggi che autorizzano il sequestro delle proprietà non locali.

Un caso eclatante riguarda McDonald’s. In marzo, al momento dell’exit, la catena americana, contava 850 ristoranti nella nazione di Vladimir Putin, ma in aprile il re dei fast food ha deciso di vendere all’imprenditore locale Valerij Zurin, 57 anni, che, a quanto pare sta riaprendo a tutta forza: 15 punti vendita in maggio, 50 in giugno e poi, pare, un centinaio ogni settimana.

Due casi eccellenti

L’ex Mac si chiama oggi Vkusno i tochka, ossia ‘Gustoso e basta’ e pare un successo, anche se gli osservatori occidentali constatano un impoverimento e snaturamento dei menu, per escludere tutto quanto 'sappia' troppo di americano e occidentale.

E le cessioni proseguono. L’annuncio più recente è arrivato, il 7 luglio, da Sephora, l’elegante catena di profumeria del gruppo del lusso Lvmh, che ha messo in vendita il 100 per cento degli 88 negozi residui, ribattezzati come Ile de beauté.

Ad acquistare una rete che dà lavoro a 1.200 addetti, è il general manager locale. In realtà anche Sephora aveva deliberato l’uscita in marzo, quando i punti vendita erano 125.