Pomodoro Petti: il fatto e le risposta
Pomodoro Petti: il fatto e le risposta
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Si allarga, mediaticamente parlando, la vicenda riguardante Italian food Spa, società di gruppo Petti, cui fa capo lo stabilimento livornese di Venturina Terme, rilevato nel 1973 da Arrigoni.
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I rilievi degli inquirenti
I Carabinieri per la tutela agroalimentare hanno sequestrato, presso l’impianto toscano, 4.477 tonnellate di pomodoro, in special modo confezioni di conserve con etichette ‘pomodoro 100% italiano ‘ e/o toscano.
Gli inquirenti precisano che “il prodotto era falsamente etichettato quale 100% italiano”, essendo “miscelato con rilevanti percentuali (variabili) di pomodoro concentrato estero “.
Inoltre, sempre i Carabinieri, precisano che il pomodoro in questione era ottenuto “utilizzando rilevanti percentuali variabili di pomodoro concentrato extra Ue, miscelato a dosati quantitativi di semilavorati di pomodoro italiano”.
La risposta dell'azienda
L’azienda ha risposto, con una nota, attraverso le pagine del quotidiano locale ‘Livorno Today’
Si legge: “In merito alle notizie pubblicate in questi giorni, sulle indagini attualmente in corso da parte del nucleo carabinieri di Livorno per la Tutela Agroalimentare, la società Italian Food Spa presenterà, nei prossimi giorni, tutta la documentazione più dettagliata e completa per dimostrare la tracciabilità del prodotto semilavorato oggetto delle indagini e la conseguente richiesta di dissequestro merce”.
“In questo momento – prosegue il testo – la priorità per la società è di verificare e chiarire tutti gli aspetti con le autorità preposte, in quanto la merce semilavorata industriale di provenienza estera, rinvenuta tra lo stock di prodotto toscano e italiano stivato nei magazzini, viene regolarmente utilizzata, come da altre aziende del settore conserviero, per il confezionamento di prodotti a marchi terzi, destinati all’esportazione fuori dall’Italia”.
Il punto di vista di Confagricoltura
Fra gli altri è intervenuto il presidente di Confagricoltura Toscana, Marco Neri, secondo il quale la vicenda “è il chiaro segnale che il pomodoro maremmano deve essere valorizzato ancora di più di quanto non sia stato fatto fino a oggi. Se confermato dalla indagini, il comportamento dell’azienda è assolutamente da stigmatizzare e mette ancora più in evidenza come l’aumento della domanda di questo prodotto renda necessaria una maggiore valorizzazione, anche economica, del pomodoro maremmano. Il consumatore deve scegliere non solo in funzione del prezzo, ma della qualità. Se ci fosse una minore marginalità sulla distribuzione e commercializzazione forse riusciremmo a tutelarlo ancora di più”.
In Toscana sono coltivati a pomodoro circa 2000 ettari, il 50% dei quali in Maremma e il resto tra le province di Livorno e Pisa e il Mugello. Per coltivarlo, in provincia di Grosseto, si spendono mediamente dai 5 ai 7.000 euro per ettaro, con una resa di 850 quintali.
“Se lo si pagasse, come avveniva nel 2017, 82 euro alla tonnellata, non sarebbe più conveniente la sua coltivazione. Con l’avvento di Petti, c’è stata una crescita del prezzo all’origine fino ai 105-120 euro e dunque una redditività più elevata, ma ancora non sufficiente a garantire i margini giusti per gli agricoltori. Spero - conclude Neri - che ipotesi di reato, come quelle contestate all’azienda livornese, non frenino e non pregiudichino in qualche modo la trasformazione toscana, perché si rischierebbe di interrompere una filiera importante per l’economia della Regione e la sostenibilità economica e ambientale”.
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