Ora, in attesa delle festività del 25 aprile e del primo maggio, la lotta riprende. Invece dell’elemento religioso gioca questa volta quello civile, commemorazione patriottica la prima, democratica la seconda.

Vista dal nostro osservatorio la situazione è caotica e dire caotica è un eufemismo. A Bari, per esempio, dove la gdo annuncia il tutto aperto, l’Unione sindacale di base puntualizza in una nota: che “è un'offesa ai lavoratori e una legittimazione del loro sfruttamento.  I lavoratori in questione vivono già turni e ritmi inaccettabili, che non consentono loro di programmare la propria vita e questo senza considerare le misere retribuzioni – riporta Bari Today -. Studi di settore hanno dimostrato, tra l'altro, che le aperture dei centri commerciali o delle attività similari, durante tali giornate, non porta alle aziende quei benefici economici tanto auspicati. E' bene ricordare che proprio nel  commercio si sperimentano le forme contrattuali più estreme e, chiamiamole, “innovative” di lavoro precario che grazie alle nuove proposte del Ministro del lavoro, ex Presidente della Lega delle cooperative, peggioreranno ulteriormente”.

Stessa cosa in Veneto e in Friuli. “Il Messaggero Veneto” riporta altre dichiarazioni dei sindacati. “Ritengo – afferma il segretario di Uiltucs Udine, Claudio Moretti – sia una provocazione inaccettabile tenere aperto durante le feste, ancor peggio durante quella del lavoro. Tanto più che la rincorsa ad aprire sempre e comunque ha dimostrato di non produrre reddito, non recuperare vendite, creando anzi solo disagio ai lavoratori. Le aperture selvagge hanno determinato la modifica, in peggio, delle abitudini dei cittadini consumatori, rendendo contemporaneamente la vita dei lavoratori del settore difficile”.

Potremmo andare avanti per ore, visto che il quadro nazionale è tanto uniforme, quanto travagliato. Aggiungiamo che si annunciano boicottaggi e astensioni volontarie dal lavoro.

Il problema vero, lo diciamo ogni volta, dalla liberalizzazione Monti in poi (operativa dall’1 gennaio 2012), è fare chiarezza. Mentre valutare o meno l’andamento delle vendite festive e dunque il reale guadagno spetta alle aziende e non ai dipendenti, dall’altro lato è vero che nessuno ha fatto un serio esame delle condizioni dei lavoratori, di quali pressioni essi subiscano, a quanto ammontino le maggiorazioni salariali per il lavoro domenicale e via dicendo.

Qualcuno se la cava dicendo che di questi tempi è già una fortuna avere un posto, il che in parte è vero, ma visto che siamo in una “Repubblica fondata sul lavoro”, magari bisognerebbe avviare una seria indagine conoscitiva, il che non ci risulta sia stato fatto. La domenica e le feste lavorative sono, in molti altri Paesi europei, invocate da tutti, commercianti e consumatori – pensiamo alla Francia e al Belgio – e dunque non è proprio il caso di rinunciarvi. Ma un simile caos non può continuare.