Attaccato dal periodico tedesco “Der Siepegel” e accusato di avere filmato i propri clienti all’atto del pagamento, dunque di essere a conoscenza anche dei codici pin delle relative carte di debito e credito, il colosso del discount Aldi si difende: “Le regole sulla video sorveglianza sono definite chiaramente ed escludono la ripresa della zona pagamenti – afferma la titolare dell’ufficio stampa Kisten Windhorn -. Comunque se è accaduto qualcosa saranno prese misure disciplinari”.

In effetti non si capisce bene lo scopo di tutto questo, che avrebbe addirittura dato luogo a materiali su dvd, che sarebbero circolati fra i vari responsabili.
La cosa avrebbe anche un risvolto piccante abbastanza ridicolo, in quanto le indiscrete telecamere sarebbero finite nelle scollature di alcune signore troppo procaci e troppo poco vestite.

Nei film sarebbe anche compresa una sorta di sorveglianza sul personale, nelle aree destinate alla logistica. Kisten Windhorn, intervistata dal periodico francese LSA, afferma: “In casi del tutto eccezionali può accadere che alcuni collaboratori siano sorvegliati, ma solo quando esiste il concreto sospetto di una mancanza passibile di punizioni”.

Il caso, comunque vada a finire, solleva parecchi interrogativi che si prestano a sottolineare il conflitto implicito tra privacy e videosorveglianza. A che punto è lecito spingersi in nome della sicurezza e dell’antitaccheggio? In realtà tale materia dovrebbe essere ulteriormente normata a livello Ue e magari vagliata con le associazioni dei consumatori, onde evitare accadimenti come questi che, se veri, sono molto gravi e, se falsi, gettano comunque parecchio discredito sull’insegna coinvolta.

Non dimentichiamo che in Francia anche Ikea era stata accusata, circa un paio di mesi fa, di utilizzare gli apparati di sicurezza per vigilare sulla produttività dei dipendenti e sul comportamento dei clienti, cosa che poi non pare avere avuto, almeno a quanto ci risulta, alcun seguito legale. I media si erano semplicemente limitati, a suo tempo, a riportare le accuse del periodico satirico “Le canard enchaîné”.