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Liberalizzazioni, l'Fmi vuol dire la sua
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Liberalizzazioni, l'Fmi vuol dire la sua
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Non riguarda soltanto l’Italia il problema delle liberalizzazioni evocato a gran voce da Giuseppe Brambilla di Civesio, presidente di Indicod, al meeting annuale dell’associazione svoltosi qualche settimana fa a Milano e incentrato sul forte calo delle vendite che appesantisce i conti del largo consumo, sia dalla parte di chi produce, sia dalla parte di chi distribuisce. br />
A metter mano sulla questione sarà direttamente il Fondo monetario internazionale che, dopo aver lasciato fare per molti anni in nome della deregulation, parrebbe ora ritenere opportuna un’inversione di tendenza con l’applicazione di vincoli e controlli che attenuino il rischio di un’altra fase recessiva.
La deregulation pretesa dai maggiori attori del mercato dei capitali pre-crisi ha infatti prodotto benefici solo per pochi e causato danni a molti costringendo ad esempio il governo Usa a intervenire per salvare il sistema bancario dopo aver lasciato fallire la Leehman Brothers nell’intento di dare un segnale.
Sta di fatto che le banche sono le imprese che più sono state protette nonostante i danni causati soprattutto all’estero (si pensi alla bolla immobiliare americana gonfiata dalla concessione di mutui senza garanzie adeguate in nome appunto della deregulation fino alla sua esplosione) e che in Italia continuano a operare senza una sostanziale liberalizzazione secondo Indicod che se la prende pure con un sistema delle tariffe bloccato da monopoli di fatto.
In sostanza il mondo e le sue istituzioni sono chiamati a interrogarsi e a dare risposte su un tema, quello delle liberalizzazioni, interpretandolo alla luce di nuove considerazioni sul suo significato e sui suoi effetti vista la crisi ancora in corso sul fronte del largo consumo. Brambilla di Civesio ha tirato in ballo l’incertezza delle famiglie e il futuro che soprattutto i giovani non riescono a decifrare. È un po’ quello che sostiene Dominique Strass Kahn, il presidente del Fmi, quando dice che “l’occupazione e l’eguaglianza sono le pietre angolari della stabilità economica e del benessere, della stabilità politica e della pace”.
A metter mano sulla questione sarà direttamente il Fondo monetario internazionale che, dopo aver lasciato fare per molti anni in nome della deregulation, parrebbe ora ritenere opportuna un’inversione di tendenza con l’applicazione di vincoli e controlli che attenuino il rischio di un’altra fase recessiva.
La deregulation pretesa dai maggiori attori del mercato dei capitali pre-crisi ha infatti prodotto benefici solo per pochi e causato danni a molti costringendo ad esempio il governo Usa a intervenire per salvare il sistema bancario dopo aver lasciato fallire la Leehman Brothers nell’intento di dare un segnale.
Sta di fatto che le banche sono le imprese che più sono state protette nonostante i danni causati soprattutto all’estero (si pensi alla bolla immobiliare americana gonfiata dalla concessione di mutui senza garanzie adeguate in nome appunto della deregulation fino alla sua esplosione) e che in Italia continuano a operare senza una sostanziale liberalizzazione secondo Indicod che se la prende pure con un sistema delle tariffe bloccato da monopoli di fatto.
In sostanza il mondo e le sue istituzioni sono chiamati a interrogarsi e a dare risposte su un tema, quello delle liberalizzazioni, interpretandolo alla luce di nuove considerazioni sul suo significato e sui suoi effetti vista la crisi ancora in corso sul fronte del largo consumo. Brambilla di Civesio ha tirato in ballo l’incertezza delle famiglie e il futuro che soprattutto i giovani non riescono a decifrare. È un po’ quello che sostiene Dominique Strass Kahn, il presidente del Fmi, quando dice che “l’occupazione e l’eguaglianza sono le pietre angolari della stabilità economica e del benessere, della stabilità politica e della pace”.
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