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La guerra delle aranciate a un punto di svolta

La guerra delle aranciate a un punto di svolta
La guerra delle aranciate a un punto di svolta

La guerra delle aranciate a un punto di svolta

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Redazione

La questione è sicuramente tutta da scoprire sul versante legale, visto che alla fine di aprile, il giorno 26 per la precisione, la Commissione Politiche Ue aveva già respinto la modifica, in quanto lesiva del principio di concorrenza.

Ne era seguita una lunga elaborazione e una complessa opera di labor limae anche all’interno delle nostre Istituzioni.

Il tormentone, pensato per rendere più salutari le bevande, ma anche per agevolare le vendite di frutta, è di quelli che si protraggono da diverso tempo, con pareri opposti. Al momento le associazioni degli industriali, in particolare Federalimentare e la collegata Assobibe, non si sono ancora espresse, ma stanno lavorando a un documento congiunto. Prima della decisioni di ieri, comunque, il loro punto di vista era piuttosto chiaro e anche, tutto sommato, condivisibile: esistono varie bevande di frutta o a base frutta. Per quale motivo snaturare delle semplici bibite e trasformale in una sorta di ibrido?

L’unico parere al momento disponibile è quello di Coldiretti, che in una nota esprime completa soddisfazione “E’ stata sconfitta la lobby delle aranciate senza arance grazie all’azione del Governo che si è dimostrato vicino agli interessi reali delle imprese agricole e dei consumatori. Finalmente ci sono le condizioni per cambiare una norma che permette di vendere l’acqua come fosse succo. Quando la legge sarà approvata duecento milioni di chili di arance all'anno in più saranno “bevute” dai 23 milioni di italiani che consumano bibite gassate, il che significa cinquantamila chili di vitamina C in più”.

“Una decisione che concorre a migliorare concretamente la qualità dell'alimentazione e a ridurre le spese sanitarie dovute alle malattie connesse all'obesità in forte aumento – prosegue Coldiretti -. Non va peraltro dimenticato l'impatto economico sulle imprese agricole poiché l'aumento della percentuale di frutta nelle bibite potrebbe salvare oltre diecimila ettari di agrumeti italiani, con una estensione equivalente a circa ventimila campi da calcio, situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria”.

 

Qui di seguito la posizione di (1) Assobibe e (2) Federalimentare:

1) A nome di un settore già fortemente penalizzato dall’andamento del mercato, ASSOBIBE esprime preoccupazione e disappunto per il voto di ieri sera alla Camera che porta al 20% la percentuale minima obbligatoria di succo di arance per le bibite analcoliche conosciute come “aranciate” quando prodotte in Italia: “Un provvedimento che frena la competitività delle imprese in Italia e non porterà benefici a consumatori né all’indotto” così lo ha commentato il Presidente Aurelio Ceresoli.

Discriminatorio ed anticostituzionale
Il divieto di continuare a produrre bibite con ricette conosciute ed apprezzate da decenni riguarderà solo la produzione realizzata in Italia. I prodotti importanti dall’estero continueranno ad essere disponibili sul mercato italiano anche se avranno una percentuale di succo inferiore e ciò determinerebbe una ingiustificata discriminazione e limitazione della libertà di iniziativa economica patita dagli italiani.
ASSOBIBE precisa che la percentuale minima di succo in Italia nelle c.d. aranciate è già la più alta di tutti gli altri Paesi dell’UE (dove la media è del 5%, ed in molti non esiste neanche nessun tipo di vincolo). “Il nuovo obbligo – spiega il Presidente - si tramuterà in un forte incentivo alla delocalizzazione, sostenibile dai grandi gruppi ma sicuramente a scapito delle piccole-medie imprese che rappresentano la tradizione italiana della produzione di bibite analcoliche. In un momento in cui si parla di Made in Italy come punto di forza per il rilancio della nostra economia, la Camera vota un provvedimento che va esattamente nella direzione opposta”.

Controproducente

Si incide su un settore già fortemente caratterizzato, in Italia, da consumi tra i più bassi d’Europa (50 litri/per capita contro 73 litri) e stagnanti negli ultimi dieci anni.

Costringendo i produttori a delocalizzare per poter mantenere inalterato il prodotto che incontra il favore dei consumatori, il rischio concreto è che la percentuale di frutta italiana impiegata nella produzione diminuisca invece di aumentare, con un effetto controproducente anche per la nostra agricoltura.

Le “aranciate” confezionate hanno peraltro segnato un – 9.3% nel 2013.

Confidiamo che Governo e Parlamento intervengano prontamente per impedire l’approvazione definitiva di un provvedimento che penalizzerebbe fortemente l’industria italiana, i suoi lavoratori e tutto l’indotto.


2) Alimentare: Federalimentare, norma 'aranciate' incostituzionale
"E' dannoso introdurre vincoli e divieti circoscritti solo a chi produce in Italia. Cosi' si favoriscono gli stranieri, si penalizza la competitivita' italiana, si mettono a rischio migliaia di posti di lavoro fra diretti e indotto". Lo afferma il presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua, in merito all' emendamento alla legge comunitaria approvato dall'Aula della Camera che porta al 20% la percentuale minima obbligatoria di succo di arance per le bibite analcoliche conosciute come "aranciate" quando prodotte in Italia.
"La norma approvata - prosegue Ferrua - e' chiaramente incostituzionale, perche' determina una discriminazione cosiddetta "alla rovescia" nei confronti dei produttori italiani, pone un freno immotivato alla libera iniziativa economica e viola il principio di ragionevolezza, stante l'assenza di ragioni di tutela della salute o sicurezza alimentare".
"La norma - prosegue Ferrua - non si giustifica infatti con motivi di salute: lo ha gia' chiarito la Commissione Ue nei propri rilievi quando l'ha bocciata negli anni passati. E non offre certezze all'agricoltura, visto che l'approvvigionamento non e' detto che possa essere solo italiano. La norma inoltre non porta nemmeno benefici ai consumatori, che oggi hanno gia' ampia scelta con spremute e succhi 100% e domani non troveranno gusti apprezzati da decenni. Troveranno invece piu' calorie sui prodotti fatti in Italia e requisiti e prezzi piu' bassi nei prodotti fatti all'estero".
"La norma, infine - conclude Ferrua - rischia di far sparire linee di produzione e di intaccare i livelli occupazionali. In un momento come questo e' assurdo penalizzare chi fa impresa in Italia e genera valore economico e sociale".
 

 

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