Oltre 200 imprese di 6 Paesi europei coinvolte in iniziative per ridurre l’impronta ambientale di 6 prodotti di largo consumo: olio d’oliva, vino, acqua in bottiglia, mangimi, salumi e formaggio. Ma anche tecnologie, soluzioni e oltre 60 buone pratiche per il settore disponibili sul sito dedicato pefmed-wiki.eu. Sono questi i risultati del progetto europeo Pefmed, coordinato da Enea e presentato ieri, 27 maggio, a Roma nell’ambito del convegno “Product environmental footprint: un’opportunità per rafforzare l’economia circolare nel settore agroalimentare”.

L'evento ha fatto il punto sugli strumenti concreti per migliorare la sostenibilità della filiera mediterannea dell'agrifood. Finanziato con circa 2 milioni di euro dalla Commissione europea, Pefmed ha coinvolto in Italia anche il Ministero dell’Ambiente e Federalimentare, che ha coordinato le iniziative di trasferimento tecnologico delle maggiori federazioni agroindustriali degli altri Paesi coinvolti: Grecia, Francia, Portogallo, Slovenia e Spagna.

Le iniziative svolte su scala internazionale hanno riguardato complessivamente 9 filiere agroindustriali, sulle quali è stata testata una metodologia comune per la valutazione dell’impronta ambientale dei prodotti nel loro ciclo di vita, secondo il metodo Pef (Product environmental footprint), con lo scopo di individuare le maggiori criticità ambientali, ma anche per promuovere la produzione di beni a basso impatto e la competitività delle aziende.

In parallelo all’applicazione della Pef, un team di ricercatori, imprenditori ed esperti ha associato al metodo un set di indicatori socio-economici relativi a diritti umani, condizioni di lavoro, salute e sicurezza, patrimonio culturale, governance e impatti socio-economici sul territorio, con l’obiettivo di definire per ogni azienda un business plan sostenibile, “una vera e propria strategia di eco-innovazione e di marketing, in grado di individuare aree di intervento e soluzioni tecnologiche e gestionali e ridurre gli impatti sia ambientali che socio-economici di prodotto e filiera, con un’attenzione al territorio e agli strumenti di politica economica disponibili - spiega Caterina Rinaldi, ricercatrice Enea e coordinatrice del progetto -. Il metodo e gli strumenti utilizzati nel progetto hanno dimostrato di essere efficaci per aziende e filiere e potrebbero servire a rispondere adeguatamente ai bisogni dei consumatori, soprattutto se associati a uno schema di certificazione, come il marchio nazionale ‘Made Green in Italy’ del Ministero dell’Ambiente”, conclude Rinaldi.

“Ritengo che la partecipazione a Pefmed sia stata decisamente positiva su diversi fronti - sottolinea Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare -. La Federazione, ancora una volta, ha dimostrato come il settore alimentare sia attento e sensibile ai temi della sostenibilità e delle dichiarazioni ambientali di prodotto.

"Nell’ambito del progetto, una serie di imprese agroalimentari italiane ed europee hanno svolto sperimentazioni e testato concretamente l’applicazione della Pef su alcuni prodotti, per valutarne le potenziali performance ambientali. Tuttavia permangono aree da sviluppare ulteriormente, per consentire un uso credibile e di successo della Pef stessa. E' necessario sviluppare ulteriormente le regole di categoria di prodotto, aumentare la rappresentatività delle banche dati e rendere la Product environmental foodprint praticabile anche per le piccole e medie imprese. Dal punto di vista della comunicazione, le informazioni basate sulla Pef devono essere volontarie e off-pack”.