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Decreto pasta: un provvedimento sbagliato?

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Redazione

Dopo la firma, ieri, 20 luglio, da parte dei ministri delle Politiche Agricole e dello Sviluppo Economico, Maurizio Martina e Carlo Calenda, dei decreti sull’etichetta di origine obbligatoria della pasta – che passeranno al vaglio dell’Ue il 12 agosto, arriva a botta calda il commento di Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane).

“Siamo per la trasparenza verso il consumatore - afferma Riccardo Felicetti, presidente dei pastai dell’associazione -. E infatti molte marche comunicano volontariamente l’origine del grano in etichetta, o attraverso altri canali di informazione. Ma questa etichetta non raggiunge nessuno degli obiettivi dichiarati dal Governo”.

Secondo Aidepi, questo decreto “invece di aiutare il consumatore a fare scelte consapevoli, finisce per disorientare e confondere. Con la dicitura scelta si vuole far credere che la pasta italiana è solo quella fatta con il grano italiano, o che la pasta è di buona qualità solo se viene prodotta utilizzando materia prima nazionale. Non è vero. L'origine da sola non è sinonimo di qualità.” Ci sono invece, fra le altre cose, specifici parametri e requisiti, che dipendono da condizioni del terreno, da quelle climatiche, dalle pratiche agronomiche adottate.

Inoltre, sempre secondo Aidepi, la nuova norma non incentiva gli agricoltori italiani a investire per produrre grano di qualità con gli standard richiesti dai pastai. "In questo modoo - continua Felicetti - si dà vita a un inaccettabile paradosso che potrebbe rendere la pasta italiana meno competitiva e che rischia di non garantire al consumatore la sicurezza di mangiare la migliore pasta del mondo.” La vera soluzione per incentivare trasparenza, qualità e competitività della filiera sono invece i contratti di coltivazione tra pastai e agricoltori.

Parlare di etichetta, sostiene Aidepi, sposta infatti l’attenzione dal vero problema: e cioè che il grano italiano è oggi ancora insufficiente a soddisfare le esigenze dei pastai. “Importiamo ogni anno il 30-40% del fabbisogno dell’industria della pasta, perché il grano italiano non è sufficiente e non sempre raggiunge i livelli qualitativi richiesti – conclude Felicetti -. Solo una maggiore disponibilità di frumento nazionale di qualità ridurrà la nostra dipendenza dall’estero.”

       
       

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