Confimprese chiede una drastica riforma degli affitti commerciali
Confimprese chiede una drastica riforma degli affitti commerciali
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Con il commercio al tracollo e i negozi chiusi da oltre un mese, fatturati in flessione fino al 95% e costi di personale, gestione, materie prime e affitti da sostenere, Confimprese parte con la richiesta di una radicale revisione dei canoni di affitto.
E lo fa anche attraverso una massiccia campagna pubblicitaria, che partirà da oggi, 15 aprile. L’associazione raccoglie 350 insegne, 40.000 punti vendita e 700.000 addetti.
«Si è creato un corto circuito fra retailer e proprietari immobiliari, sia nei centri commerciali, sia nei centri città, sui canoni d’affitto – spiega il presidente Mario Resca -. Con essi non riusciamo ad avviare un tavolo di lavoro comune. Chiediamo la rinegoziazione dei canoni calmierati nella fase 2 del post-emergenza, possibilmente solo sulla percentuale del fatturato realizzato fino a quando il mercato non si riprenderà. Il Centro Studi Confimprese certifica che il 90% delle nostre associate ha revocato i Sepa per il pagamento anticipato dei canoni per il trimestre aprile-giugno”.
È auspicabile, sempre secondo la confederazione, che ai proprietari di immobili a uso commerciale venga concesso, alla riapertura, un credito d’imposta là dove essi trovino un accordo con i propri locatari. Dovranno potere usufruire di benefici fiscali attraverso un meccanismo mirato sia ad evitare la tassazione ordinaria dei canoni non percepiti, sia sgravi fiscali proporzionali ai canoni non corrisposti.
Quanto ai retailer è necessario che si riconosca il credito d’imposta rivisto dall’art. 65 del Cura Italia estendendolo a tutte le tipologie contrattuali e categorie catastali e alle attività che pur non essendo state chiuse, in quanto ritenute essenziali, hanno subito comunque gli effetti negativi della crisi economica, registrando un drastico calo del fatturato anche in questa seconda fase.
Ritenendo che il cosiddetto Decreto non abbia preso sufficientemente in considerazione il commercio, l’Associazione chiede con urgenza di riconoscere i seguenti punti: ridurre le rate di acconto dell’Irpef e delle relative addizionali, dell’Ires e dell’Irap dovute per il periodo d’imposta in corso; riconoscere le conseguenze del Covid-19 come causa di forza maggiore; prorogare la lotteria degli scontrini al 1° gennaio 2021; abbattere le commissioni per gli incassi tramite Pos.
La gravità della situazione trova conferma nei sondaggi elaborati dal Centro Studi Confimprese. Dopo quello sulla Lombardia in merito alla riapertura delle attività commerciali e alla relativa salvaguardia dei posti di lavoro nella fase 2 del post-emergenza, da cui è emerso che un negozio su 3 non riaprirà le saracinesche, il 9 aprile sono usciti i dati sul Piemonte, dove il 40% dei negozi resterà chiuso per sempre a fronte di una flessione degli incassi che, a seconda della tipologia e dell’ampiezza dei negozi, va da 100.000 a 4 milioni di euro.
«Prevediamo che in tutta Italia il 30% dei negozi non riuscirà più ad aprire. Nel tempo spariranno molti retailer, perché non ce la faranno a sopravvivere» conclude Resca.
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