Da oltre due anni l’Italia sta affrontando, com’è noto, la diffusione del virus della Peste suina africana (Psa). Ciò sta generando un considerevole carico di preoccupazioni presso un settore produttivo già estenuato dalla continua minaccia del contagio. Tuttavia è bene ricordare che la Psa, estremamente nociva per cinghiali e suini, non ha alcun impatto sull’uomo, poiché non è in nessun modo trasmissibile dall’animale alle persone. Il presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma, Alessandro Utini, è rassicurante e precisa anche che nelle aree di competenza del Consorzio al momento attuale i contagio interessa soltanto la fauna selvatica, ovvero i cinghiali. La malattia non rappresenta alcun pericolo per l’uomo e né in Italia né nell’Unione Europea vi sono limitazioni alla commercializzazione del prodotto del Consorzio. Alcune precisazioni vanno fatte, tuttavia, rispetto all’export extra-Ue.

«Sin dai primi casi riscontrati nella nostra penisola a inizio 2022 – precisa Utini – diversi Paesi terzi (Cina, Giappone, Taiwan, Messico, tra gli altri) hanno intrapreso una politica protezionistica, chiudendo il proprio mercato indistintamente a tutti i prodotti a base di carne suina provenienti dall’Italia. Viene da domandarsi quali scenari attendano l’export del Prosciutto di Parma ora che il virus è riuscito a insinuarsi nella zona tipica. Per fare chiarezza e arginare alcune informazioni fuorvianti – prosegue il il presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma – che stanno circolando e che rischiano di generare uno stato di allarme incontrollato, è di basilare importanza delineare un quadro della situazione realistico e verosimile: ad eccezione dei Paesi menzionati sopra, che già in precedenza avevano chiuso le loro frontiere, il Prosciutto di Parma continua a circolare regolarmente verso le destinazioni d’esportazione, siano essi Stati membri o Paesi terzi. Le elevate garanzie sanitarie fornite dalla lunga stagionatura del nostro prodotto permettono di mantenere aperti importanti sbocchi per l’export come gli Stati Uniti e l’Australia. L’unico cambiamento di rilievo riguarderà le esportazioni in Canada, Paese verso il quale le aziende produttrici situate in zone di restrizione II (ovvero quelle in cui la Psa è presente nel cinghiale) non potranno più spedire il loro prodotto».