di Armando Brescia e Maria Teresa Giannini

Il consorzio Trentingrana-Concast rappresenta i 14 caseifici cooperativi presenti nelle varie vallate della provincia autonoma di Trento: qui, grazie al latte prodotto nei pascoli oltre i 900 metri d’altitudine, vengono realizzati formaggi come il Puzzone di Moena Dop, il Vezzena di Lavarone, il Cuor di Fassa e, naturalmente, il Trentingrana. Di quest’ultimo si contano 100mila forme all’anno, che corrispondono a 50mila tonnellate di latte (per realizzare una forma di Trentingrana, che alla fine della stagionatura peserà 37 chili, occorrono infatti 500 litri di latte). Dopo un 2022 di ottimi risultati, che aveva portato il fatturato del consorzio a superare i 67 milioni di euro, il 2023 si è chiuso con una leggera contrazione, ma ha portato con sé anche spunti di riflessione e ha rappresentato un momento utile affinché l’azienda ricalibrasse le strategie commerciali, valorizzando i propri prodotti. Ne abbiamo parlato con Federico Barbi, direttore commerciale di Trentingrana.

Qual è la situazione fra i produttori di formaggi d’alpeggio nella vostra zona?
Come sta accadendo da circa due anni, in molte zone di montagna la produzione di latte ha cominciato a ridursi e il trend sta continuando, mentre in pianura sta crescendo. In montagna i costi sono particolarmente importanti e c’è un problema di frammentazione dei fondi, dunque è difficile avere degli allevamenti di grandi dimensioni che permettano di avere economie di scala. Il calo della produzione lattiera ha avuto i suoi riflessi sulla produzione di formaggio, che nel nostro caso significa 11% in meno, e tuttavia siamo riusciti a trarre il buono anche da questa prova: questo, infatti, ci ha portati a fare una maggiore selezione della clientela, visti i prezzi più sostenuti in passato.

Questo significa aver privilegiato il dettaglio tradizionale e la ristorazione invece della Gdo?
Non esattamente, direi più che altro che agiamo in maniera diversa a seconda dei contesti presi in considerazione. La Gdo rimane per noi il cliente più importante a livello nazionale, mentre la ristorazione lo è a livello territoriale, poiché il turista che viene in Trentino vuole il prodotto tipico ed è disposto a pagarlo di più. In alcune zone d’Italia fatichiamo ad entrare perché abbiamo un prezzo più alto rispetto ad altri tipi di formaggi.

Cosa state facendo per favorire le vendite con le insegne?
Abbiamo aperto alla Private label negli ultimi 24 mesi e al co-branding, sia per quanto riguarda il Trentingrana sia per il Puzzone di Moena Dop, che è il formaggio più prodotto e più famoso, ed abbiamo buoni riscontri.

Quanto pesa l’export per Trentingrana?
Il 10-12% della nostra produzione è diretto all’estero, in gran parte verso la Germania e i Paesi del Centro-Nord Europa, dove abbiamo scelto di entrare solo nella gastronomia per una questione di prezzo. Esportiamo qualcosa anche negli States, anche se i numeri non sono affatto paragonabili a quelli dei Paesi germanofoni.

Su cosa state puntando in questa fase?
Negli ultimi due mesi abbiamo iniziato la lavorazione in un’unica sala di confezionamento creata ex novo. In particolare, per i formaggi tradizionali abbiamo puntato su nuove linee di confezionamento e abbiamo internalizzato la lavorazione del grattugiato, cosa che è sempre in aumento negli anni.

Ormai un terzo dell’anno è andato via e al Cibus di Parma alcuni espositori della vostra stessa categoria hanno giudicato questi primi mesi “tiepidi” dal punto di vista delle vendite: per voi?
Per noi di Trentingrana i primi mesi dell’anno sono stati piuttosto buoni, soprattutto grazie al fatto che sono entrate in produzione una serie di linee nuove, come quelle di private label che lo scorso anno non c’erano, e che quest’anno ci hanno consentito di vendere di più.

Ma da quest’anno, in generale, cosa vi aspettate?
In questo momento, come produttori, dovremmo farci qualche domanda, perché la percezione che le vendite nel primo periodo dell’anno non siano state eccezionali è abbastanza diffusa. Gli stessi addetti ai lavori si interrogano da tempo su questo. Bisogna capire se il trend continuerà, forse a favore di qualche altro prodotto “smarchiato” o bianco, e se abbia o meno come motivazione il prezzo.

Dal punto di vista della comunicazione, quali attività realizzate a supporto del marchio?
Noi abbiamo un plus importante, quello di avere la parola “Trentino” nel nome: nell’immaginario collettivo, ad essa si associano sensazioni positive come la vacanza, il bosco, la natura e questo dal punto di vista comunicativo ci aiuta non poco. “Trentino” però è anche un marchio di garanzia di qualità, che noi utilizziamo sui formaggi tradizionali come il Puzzone di Moena Dop, il Casolét e il Cuor di Fassa. Oggi, è importante continuare a presidiare soprattutto i media più contemporanei, che sono in grado di raccogliere una platea ampia ed eterogenea, e che ci consentono di spiegare in maniera esaustiva l’eccellenza e le sfumature di sapore dei nostri formaggi.