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Stefano Cigarini: perché Fico torna alle origini

Stefano Cigarini: perché Fico torna alle origini
Stefano Cigarini: perché Fico torna alle origini

Stefano Cigarini: perché Fico torna alle origini

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Redazione

di Armando Brescia

Del cambiamento di Fico molto si è scritto e molto si è detto.

Ma un conto è sapere che diventerà, fra l’altro, un colossale parco a tema, e un altro è entrare nei dettagli, cifre alla mano. Così Distribuzione Moderna ha approfondito il discorso con Stefano Cigarini, amministratore delegato di Fico Etaly World e top manager specializzato in un compito tanto difficile, quanto appassionante: la gestione di grandi parchi del divertimento, come Cinecittà World, di cui è Ceo, e, tanto per citare dal lungo curriculum, dei parchi Ferrari e di Rainbow Magicland di Valmontone, vicino a Roma.

Come è cambiato Fico dalla sua inaugurazione?

Non è cambiato nel Dna, è cambiato molto nell’esperienza del visitatore. Rimane valida l’intuizione imprenditoriale iniziale, vale a dire mettere sotto lo stesso tetto una grande varietà di esperienze relative alle eccellenze agroalimentari italiane e raccontare la filiera produttiva dalla terra al piatto. Ciò che è cambiato è il fatto che da parco del cibo è diventato un parco delle persone. Il cibo ha motivo di esistere se qualcuno lo produce, lo distribuisce, lo vende, lo mangia. E lo stesso vale per il parco. Abbiamo cercato di ripensare Fico in una maniera tale che chi entra fa un’esperienza educativa, divertente, appassionante ma legata però al mondo del cibo. L’ispirazione sono i parchi tematici.

In sostanza ancora più spazio alla dimensione sociale…

Certamente, anche se era nelle premesse. Oscar Farinetti disse: “dobbiamo fare la Disneyland del cibo”. In questa frase c’era una intuizione che significava “dobbiamo trasformare il cibo in un’esperienza”, cosa che non è stata fatta fino in fondo, almeno nei primi anni di vita di Fico. Oggi stiamo andando in quella direzione. Si trovano le aree tematiche, le scenografie, trovi il mondo delle paste, della carne, del vino, sali su una giostra. È un posto dove quello che c’è intorno a te parla, ti stimola, ti fa divertire, insegna in modo intuitivo. È cambiato il format, molto più articolato. Oggi ci sono trenta attrazioni, molte delle quali erano assenti all’apertura. Ci sono ancora le fabbriche che c’erano all’apertura, ma sono state riprogettate, rendendo più comprensibili le varie fasi produttive, anche per i non addetti a lavori. E lo abbiamo fatto con materiali multimediali e strumenti interattivi che aiutano la comprensione di ciò che si vede.

Come ha impattato la pandemia?

In modo importante. Fico per definizione, come ogni parco tematico, è un luogo di assembramento; quindi, la riduzione dei visitatori è stata significativa, specie negli spazi al chiuso. Noi, tuttavia, abbiamo provato a vivere questo periodo come un’opportunità. Quando è stato chiaro che la pandemia non sarebbe durata poco, si è approfittato per fare una riprogettazione strategica di Fico, domandandosi se il format dei primi tre anni fosse quello giusto, o non fosse il caso di rivedere qualcosa. L’abbiamo quindi riprogettato pesantemente, ripensando le attrazioni, le fabbriche, la fattoria, che oggi è stata, almeno per gli animali più grandi, collocata all’ingresso del parco. Abbiamo modificato gli spazi, rendendo il parco un po’ più piccolo, ma più a misura d’uomo.

Qual è l’attuale assetto societario di Fico? È cambiato nel tempo?

No, è lo stesso dell’inizio. La società di gestione di Fico è posseduta al 50 per cento da Coop Alleanza 3.0 e, per il restante 50 per cento, da Eataly Spa. L’edificio in cui Fico ha sede è invece gestito da una Sgr (società di gestione del risparmio, ndr.) che gestisce fondi di investimento. Il fondo che possiede l’edificio in cui opera Fico ha un pacchetto di una ventina di soci, tra i quali i principali sono ancora Coop e Eataly.

Si è parlato nel recente passato di un parziale successo dell’iniziativa e di conseguenti difficoltà finanziarie: è così?

Io credo che il problema di Fico sia un problema non di risultati, ma di aspettative. Guardiamo i numeri. Fico apre e nel giro di un paio d’anni fa trenta milioni di fatturato e ne perde cinque. Questo, in estrema sintesi, è il bilancio 2019. Se a me come manager, o come imprenditore, avessero prospettato, dopo solo un paio di esercizi, di arrivare a questi risultati ci avrei messo subito la firma. È chiaro che però se, alla partenza, annunci che farai sei milioni di visitatori e poi ne fai un sesto devi rendere conto delle promesse non mantenute. Promesse che non solo hai dichiarato ai media, ma hai considerato alla base della costruzione di un progetto industriale dimensionato a queste ambizioni. Questo è il vero limite di Fico.

Insomma, lei è fiducioso...

Ma vede, qualcuno potrebbe affermare che si è sbagliato a pensare in grande. Non lo credo. Perché coloro che hanno pensato in grande ci sono arrivati, un po’ più sul lungo, ma hanno raggiunto i loro obiettivi. Sempre per citare Oscar Farinetti, se nessuno avesse pensato in grande, oggi non avremmo la Stazione Centrale di Milano o l’autostrada del sole, che peraltro sono diventate di portata appena sufficiente a reggere il traffico attuale. Noi come manager abbiamo il compito di prendere il sogno, la visione degli imprenditori e dimensionarlo e incanalarlo su binari di sostenibilità. Le do un dato: dopo la pandemia, con visite che sono arrivate a crollare dell’80-90 per cento durante l’emergenza sanitaria, Fico perde gli stessi soldi che perdeva nel 2019: mal contati, tra i 4 e i 5 milioni di euro l’anno, ma con un fatturato che è un sesto di quello iniziale. Il che dimostra da un lato la resilienza dell’idea e, dall’altro, che ci sono ampi margini di ottimizzazione. Guardando la cosa in prospettiva io sono sereno sul fatto che Fico possa trovare il suo bilanciamento economico corretto nell’arco di due o tre anni. L’anno prossimo prevedo che cominceremo a “raddrizzare” l’Ebitda e nel 2024 stimo potremmo già raggiungere il break even.

Come vi immaginate lo sviluppo del vostro parco tematico nel prossimo futuro e cosa state facendo per renderlo ancora più attraente?

Intanto abbiamo suddiviso Fico in sette aree a tema, ognuna dedicata a una grande eccellenza agroalimentare italiana. Significa sette mondi, portali d’ingresso, scenografie, percorsi didattici e interattivi, ristoranti dedicati. Inoltre, sono state inserite, da noi direttamente o tramite accordi con terzi, una serie di attrazioni, una trentina per la precisione fra giostre, scivoli, montagne russe o attrazioni più educative. Infine, abbiamo riprogettato, in collaborazione con il mensile Focus, cinque padiglioni multimediali che sono all’origine della catena del cibo: il suolo, l’aria, il mare, gli animali ecc., presentati in modo molto divertente e educativo.

Avete già avuto qualche riscontro di gradimento?

Le do qualche numero, magari basso per via delle conseguenze della pandemia e del fatto che abbiamo introdotto un biglietto d’ingresso compreso tra gli 8 e i 10 euro, non pesante, ma comunque significativo. La spesa media all’interno di Fico è salita mediamente da 15 a 35 euro. In secondo luogo, la permanenza media, che prima era di circa un’ora e mezza è schizzata a oltre cinque ore. Infine, al netto del periodo che va dai primi di dicembre 2021 a metà gennaio 2022, oggettivamente complicato per chiunque a causa del Covid, abbiamo registrato una costante crescita, settimana dopo settimana, dalla scorsa estate, quando Fico ha riaperto. E quest’ultimo, in particolare, lo consideriamo un dato molto incoraggiante.

Pensate di tornare a investire in comunicazione per supportare il rilancio?

Sì, ma con meno budget e più realismo. Molte risorse, come si può bene immaginare, sono state bruciate nel primo triennio, accompagnato da un grande battage pubblicitario. Oggi stiamo facendo accordi un po’ più limitati economicamente, ma più dilatati nel tempo. Stiamo nello specifico iniziando a collaborare, con accordi di tipo continuativo. Per esempio, con il Gruppo Rcs-Cairo, attraverso campagne televisive su La7 e su alcune emittenti minori, nonché su quotidiani e periodici da loro gestiti. Siamo presenti su una serie di radio locali, siamo sul territorio con accordi specifici con Coop e Eataly, nei rispettivi punti vendita. Abbiamo inoltre avviato una grande attività digital. Dei 3-4 milioni di visitatori che erano entrati a Fico nel primo triennio, la loro identità era del tutto ignota. Oggi, con un biglietto d’ingresso che, nel 60 per cento dei casi, viene acquistato online, disponiamo di un data base di 120-150mila persone che sono venute a visitare il parco e che, essendo profilate, possono essere ricontattate per attività di comunicazione e promozionali.

Visitatori più italiani o più stranieri?

A oggi decisamente più italiani. Bologna movimentava grosso modo 1,5-2 milioni di turisti all’anno prima della pandemia, equamente suddivisi tra italiani e stranieri. In questo momento sta però “viaggiando” largamente al di sotto del milione, prevalentemente italiani. Quindi oggi i nostri visitatori sono soprattutto i nostri connazionali, provenienti dalle regioni del nord. Con l’estate stimiamo che ci sarà, via via, un cambiamento di queste cifre e un riequilibrio anche nel numero di visitatori stranieri. Idealmente puntiamo a un rapporto 70-30: settanta italiani e il resto stranieri.

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