Cosa ne pensa il ricco nord est dell’andamento dei consumi e più in generale della situazione economica del nostro paese? Lo ha raccontato a DM Vittorio Filippi, docente di Sociologia presso la facoltà di Economia dell’Università di Venezia, curatore di una recente ricerca commissionata da Confcommercio Treviso. Una ricerca che ha “fotografato”, per la prima volta in modo circostanziato, lo “stato d'animo” dei consumi, dei consumatori e dei commercianti della Marca Trevigiana.

Ci può illustrare quali sono i principali risultati emersi dalla ricerca?
Anche in una provincia affluente come quella di Treviso, al decimo posto tra le 103 province d’Italia per affari e lavoro, i consumi sono la spia evidente di una fatica, di una tensione tra il tentare di mantenere il proprio tenore di vita, la percezione di una possibile vulnerabilità socioeconomica e il desiderio irrinunciabile di prodotti di qualità. Una tensione che non risparmia le classi medie e che si è quantificata – secondo l'Istat – in un calo reale delle vendite nei primi nove mesi dell'anno dello 0,6%, calo che ha penalizzato in particolare le piccole superfici commerciali, nonché nell’esplosione del credito al consumo, specie nella critica “quarta settimana”.

Qual è il giudizio dei commercianti sul fronte delle vendite?
Per la maggioranza relativa del campione (39,8%) le vendite in quantità sono scese rispetto ad un anno prima e per un terzo sono riusultate stabili. Sempre per quasi quattro operatori su dieci (37,9%) il fatturato è calato in termini annui, mentre per un terzo è fermo. Le vendite rispetto alle potenzialità del proprio punto vendita, inoltre, sono ritenute normali dal 43,5% del campione ma insoddisfacenti da una percentuale simile (42,6%). Non meraviglia quindi che la liquidità aziendale, giudicata normale da quasi sei operatori su dieci (59,3%), sia invece ritenuta negativa da quasi un terzo del campione.

Tutto questo si è tradotto in un orientamento verso prodotti di primo prezzo, specie negli alimentari?
Come sottolinea anche il Censis nel suo ultimo rapporto 2007, le cosiddette famiglie low cost non rinunciano alla qualità, che vogliono anzi crescente ma a prezzi contenuti (così per il 62% del nostro campione) e questo viene rilevato in modo particolare nell’alimentare. Se cresce inesorabilmente il contenuto di servizio in ciò che si vende (33,3%) crescono però anche i fenomeni del credito al consumo e della posticipazione dei pagamenti. Così, almeno, sostiene il 35,6% del campione, mentre il 61,8% li ritiene stabili.

Nelle abitudini dei consumatori quali sono le tendenze più significative?
Si conferma un consumatore “intelligente” e non banalmente eterodiretto, sempre più attento alle offerte, agli sconti, alle promozioni (62,6%) e anche sempre più informato su ciò che vuole (62,6%). Certamente abbiamo consumatori sempre più curiosi delle novità (48%), ma al tempo stesso attentissimi alla variabile prezzo (76,9%), mentre in misura crescente credono – ma senza fideismi eccessivi – nella marca e nel suo messaggio simbolico (21,6% contro il 68% di stabilità). Soprattutto, è preoccupato del trend economico e della propria capacità di spesa (ridimensionata per il 91,2% del campione), dato che – calcola Confcommercio – crescono le spese obbligate come affitti e carburanti e calano quelle libere, passate dal 59% del totale delle spese nel 1970 all’attuale 41,7%. Non meraviglia quindi che ben l'80,6% degli operatori registri un calo reale dei consumi rispetto ad un anno fa, calo che si accompagna anche alla tendenza del rinvio “strategico” (64,4%) degli acquisti più importanti.

E per il futuro: qual è il sentiment dei commercianti?
Secondo gli operatori del campione il quadro macroeconomico in cui si muovono è quantomeno grigio: lo pensa infatti il 51,8% degli intervistati (aggettivo scelto: “mediocre”) mentre per il 46,3% la situazione addirittura è giudicata “negativa”. Non solo la politica economica del Governo viene “bocciata” (per l'84% è “insufficiente”), ma sembrano mancare il senso del futuro (i consumi per definizione hanno come motore la fiducia nel futuro) e la percezione di un vicino punto di svolta positivo: per più di due terzi (il 67,4%) degli operatori ci dovremo aspettare infatti ancora un peggioramento, mentre solo il 12% intravede un prossimo miglioramento.