Può il marketing esser “buono”? E, soprattutto, perché dovrebbe esserlo? A queste domande tenta di dare una risposta, concreta e originale, Giuseppe Morici, attuale Presidente della Regione Europa del Gruppo Barilla, dopo tanti anni passati in gruppi come Procter & Gamble, passando per Monitor (Michael Porter) fino al gruppo Bolton. Nel suo libro - avvincente e appassionante come pochi in questo settore - “Fare marketing rimanendo brave persone. Etica e poetica del mestiere più discusso del mondo (Ed.Feltrinelli), Morici sostiene addirittura che il marketing è un’attività generativa e dotata di senso, che aiuta a risolvere i problemi della gente. Una prospettiva più vicina alla filosofia o alla filantropia che alla “scienza della persuasione dei consumatori”. Ma che, evidentemente, ha un suo significato, che abbiamo voluto chiedere direttamente all’autore residente a Parma, nel cuore della Food Valley, assolutamente coerente con il payoff di Barilla (The Italian Food Company).

Morici, lei è sicuro che, quando parla di etica e poetica, si riferisca al marketing, ovvero a quella disciplina che deve convincere le persone a comprare un prodotto?

Certo. Il marketing ha alla base una profonda conoscenza dell’animo umano, perché fa leva sull’identità di un individuo, lo coinvolge emotivamente e lo persuade sul piano logico-razionale, che è esattamente il processo integrato che compie il nostro cervello. Nel volume io spiego il perché (etica) e il come (poetica), attraverso la costruzione di una narrazione significante che colpisce il consumatore. Quello che comunemente si chiama storytelling.

Molti accusano da tempo il marketing di essere la causa principale della crisi in cui siamo immersi, poiché avrebbe indotto nei consumatori nuovi bisogni non necessari e generando, di fatto, stili di vita non sostenibili…

E’ un refrain che conosco bene ma che non condivido. La direzione verso la quale dare colpe, semmai, è quella della finanza degli ultimi anni, quella che massimizza i profitti infischiandosene del resto, sfruttando posizioni di vantaggio per alcuni e non per altri. Il marketing è una disciplina che genera valore nel tempo per l’azienda, perché ascolta le esigenze di chi ha di fronte. Le faccio un esempio pensando ai nostri prodotti: noi diciamo che in 3 minuti ti piace un biscotto, in 3 ore un piatto di pasta e in 30 anni io ti do un regime alimentare sano, equilibrato e piacevole: questo è l’approccio - e la responsabilità - del marketing.

Ha in mente qualche nome o esempio di questo modo di concepire l’impresa?

Ne cito diversi nel mio libro, ma amo evidenziarne tre particolarmente emblematici: Adriano Olivetti, Pietro Barilla e Steve Jobs. Tutti e tre hanno vissuto non mettendo al primo posto l’idea di fare soldi, quanto di produrre prodotti credibili e contagiare più persone possibili. Ma questo gli imprenditori lo sanno….

Ne è proprio sicuro?

Mah, pensandoci bene, forse in Italia non c’è un tessuto favorevole, dato che spesso, con tante e significative eccezioni, gli imprenditori sono focalizzati su se stessi. Eppure, ragionare in questo modo è di una semplicità sconcertante ed è ciò che io intendo per marketing “ecosostenibile”…

Si spieghi meglio. In fondo, sostenibilità è ormai da anni una “parola-prezzemolo”. Ne avevamo bisogno anche nel marketing?

Non sto dicendo nulla di diverso da quanto ho argomentato prima. In un’idea imprenditoriale che prende forma, oltre a passione, visione e obiettivi è fondamentale anche una relazione con il cliente fondata sul rispetto, che è la sintesi di attenzione, educazione e stile. E questo aspetto, mi creda, non è alternativo al profitto, ma lo incorpora in un concetto di valore più ampio. Oltre che essere, tutto sommato, l’esito di un sano egoismo imprenditoriale.

E cioè?

Se tu hai un’industria con 30 stabilimenti e parecchie migliaia di persone, ciò che produci avrà successo se stanno bene le persone che ci lavorano e se ne riceve benefici anche l’ambiente e il territorio in cui operi… non mi sembra complicato da capire, no?

Che ne pensa delle polemiche recenti a Expo in cui il fondatore di Slow Food, Carlin Petrini, si è scagliato contro Mc Donald’s sull’opportunità che questo gigante della ristorazione “di quantità” sia tra i principali protagonisti?

Guardi, io conosco bene Petrini e ho una grande stima di lui, oltre che una sintonia sui temi che porta avanti. Su questo specifico argomento, tuttavia, voglio rispondere in modo pragmatico: è vero che il sistema agroalimentare nel pianeta va a rotoli e che occorre invertire la rotta. Ma è altrettanto vero che se vuoi cambiare quel meccanismo perverso devi starci dentro, altrimenti non sei efficace. Non puoi bloccare qualcuno di fronte ai cancelli e dirgli che non può entrare.

Quali sono le qualità, a suo parere, di un sano e buon marketing?

Le elenco nel volume, raccontando storie conosciute di marche e prodotti (tra cui Dove, Audi, Mulino Bianco, Altromercato, Unilever), di uomini e donne. Il marketing che mi piace vende, ma non tutto, non a chiunque e non a tutti i costi. Il marketing racconta storie, crea, ispira, incanta. Diffonde stili di vita generativi, rende la vita più bella e piacevole.

C’è qualcosa che le sta particolarmente a cuore e che vorrebbe affidare a questa intervista?

C’è un concetto a cui sono molto legato, ma che non utilizzo spesso, forse perché è un po’ retrò. Io credo che, nella disputa tra crescita e decrescita, il buon marketing debba scegliere il progresso, ovvero prendersi cura del futuro, un futuro che deve durare nel tempo e deve essere migliore del presente.


Simone Mazzata