di Luca Salomone

Il fatto: in Danimarca, a Kalundborg, cittadina portuale da 16 mila abitanti, la startup israeliana Remilk si prepara a inaugurare un mega stabilimento, da 70 mila mq che produrrà latte…senza mucche.

Sostenibilità o rischio?

In Italia l’annuncio ha scatenato critiche molto accese. Luigi Scordamaglia, presidente di Filiera Italia e Ad di Inalca, ha detto, come riporta 'Il Sole -24 Ore', che «questo rappresenta un pericolosissimo passo in avanti da parte di chi vuole distruggere ogni legame del cibo con la produzione agricola, proponendo un’unica dieta omologata e mondiale. È inaccettabile l'atteggiamento di chi arriva a proporre questi prodotti di sintesi come modelli a basso impatto ambientale e finanziario, con soldi pubblici, start up che in realtà spesso hanno dietro sempre le solite multinazionali globali».

Gli ha fatto eco Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, che ha sottolineato che l’operazione potrebbe mettere a rischio un comparto (lattiero) da 16 miliardi di euro, che è poi il valore della produzione italiana di latte, la quale, tradotta in volume, ha raggiunto, nel 2020, ben 12,65 milioni di tonnellate (fonte Assolatte).

A colpi di proteine

Come hanno fatto gli israeliani, che si prefiggono di pensionare, in questo modo, 50 mila mucche, a fare senza gli animali? Adottiamo, spiega Remilk in una nota “un processo di fermentazione a base di lievito, il quale genera proteine del latte non animali da utilizzare nei lattiero-caseari, tradizionalmente realizzati con proteine di latte vaccino. Le proteine di Remilk consentono la fabbricazione di alimenti che sono indistinguibili per gusto e funzionalità dai latticini tradizionali. Secondo un rapporto di Boston Consulting e di Blue Horizon Corporation, le proteine alternative potrebbero rappresentare l'11% (290 miliardi di dollari) del mercato proteico globale entro il 2035. I ‘latticini’ prodotti attraverso la fermentazione di precisione richiedono una frazione delle risorse della Terra ed emettono una frazione di emissioni nocive di gas serra rispetto ai lattiero-caseari tradizionali”.

L’azienda di Tel Aviv, che ha chiuso da poco un round finanziario di serie B da 120 milioni di dollari, non si limita al latte, ma mira, ovviamente, anche a tutti i derivati: «Intendiamo aumentare enormemente le nostre capacità di produzione per offrire alimenti lattiero-caseari nutrienti, deliziosi e convenienti, che manderanno le mucche in prepensionamento - conferma il Ceo e fondatore, Aviv Wolff –. Noi non stiamo sognando, ma stiamo agendo sulla base della promessa di ridurre drasticamente l'impatto devastante dell'industria alimentare sul nostro pianeta. La fine del ruolo storico degli animali, come fornitori di cibo per l'umanità, è una delle misure più forti che possiamo adottare per ridurre il nostro impatto su questo pianeta».

Un sindaco felice

Se è scontato che un fondatore non possa che dire bene della propria azienda, è meno scontato il plauso del sindaco di Kalundborg, Martin Damm, visto che anche i danesi sono grandi produttori lattieri ed esportano i 2/3 della propria offerta: «La nostra città non vede l'ora di accogliere Remilk. Il profilo dell'azienda si adatta perfettamente al nostro concetto di sostenibilità. Quando l'impianto sarà completato, sarà anche il più grande stabilimento di fermentazione di precisione al mondo. Vedo la scelta di Remilk come un contributo al nostro impegno per la sostenibilità, l'alta tecnologia e l'istruzione».

Chi ha ragione e chi ha torto? Impossibile dirlo, visto che gli interessi in campo sono parecchi e ciò non aiuta, la sostenibilità è tanto necessaria quanto di moda, ma, soprattutto, i dubbi sulla salubrità degli alimenti “ultraprocessati” non mancano di sicuro.