L’Antitrust ha presentato sul proprio sito il Dossier su “Qualità della regolazione e performance economiche a livello regionale: il caso della distribuzione commerciale in Italia”. Lo scopo del lavoro era quello di valutare quanto siano variegati, all’interno del mercato italiano, i contesti normativi che disciplinano il settore, nonché, soprattutto, di verificare se le regioni si orientano verso un’apertura dei mercati o verso un aumento dei vincoli legislativi e regolatori per preservare lo status quo. Il quadro che ne viene fuori, ad avviso dell’Autority, non può dirsi soddisfacente, in quanto “le forze inerziali che si contrappongono all’introduzione di una maggiore concorrenza sembrano prevalere”. L’Antitrust, addirittura, afferma che in prospettiva lo scenario sembra destinato persino a peggiorare e, da questo punto di vista, “non possono che essere apprezzate le disposizioni introdotte dal decreto Bersani”, n. 223/2006. La valutazione forse più rilevante è quella che “laddove sono state introdotte leggi regionali più liberiste, si è assistito ad un maggior grado di instabilità e dinamicità nel settore del commercio, testimoniato da alcuni fenomeni che hanno inciso in modo diretto sulla struttura del settore stesso e sugli orientamenti strategici delle imprese (…). In generale, in queste regioni si è verosimilmente innescato un processo di ristrutturazione volto alla ricerca di economie di scala, che ha portato alla selezione dei punti vendita più efficienti, ad un loro aumento dimensionale e alla riduzione del personale, con un contemporaneo spostamento della domanda di lavoro verso segmenti di occupazione a qualifica più elevata”. L’Antitrust segnala come le conclusioni dell’analisi risultino in linea con la ricerca condotta nel 2001 dall’OCDE (Organisation de coopération et de développement économiques), relativamente al settore della distribuzione commerciale in Europa: l’Organizzazione internazionale metteva infatti in evidenza come i limiti imposti alle grandi superfici di vendita abbiano avuto come conseguenza di rallentare il processo di modernizzazione del settore, impedendo il raggiungimento di economie di scala, limitando la diffusione di servizio specializzati, mantenendo posizioni dominanti in certe aree ed impedendo l’ingresso di nuovi entranti, frenando il processo di concentrazione del settore, riducendo il potere di mercato delle imprese nei confronti dei fornitori (ma nelle conclusioni l’Antitrust rileva come i fenomeni di concentrazione osservati negli ultimi anni abbiano avuto come conseguenza quella di rafforzare il potere delle imprese di grande distribuzione rispetto ai fornitori). L’AGCM, infine, riporta un’altra importante valutazione dell’OCDE, secondo cui le limitazioni alle grandi superfici di vendita sono spesso giustificate dalla classe politica con l’esigenza di salvaguardare i posti di lavoro dei piccoli dettaglianti, laddove, in realtà, la progressiva diffusione dei punti vendita con grandi superfici ha come effetto di aumentare la specializzazione, favorire la creazione di nuovi esercizi ad elevato valore aggiunto e forte intensità di mano d’opera e innescare ricadute positive sui punti vendita vicini. Sebbene la stessa Autorità Antitrust evidenzi come il Dossier abbia tralasciato di analizzare le ricadute che le normative regionali in materia di commercio hanno avuto su elementi diversi dalla concorrenza e dal funzionamento del mercato ma non meno importanti, quali la sostenibilità ambientale e la tutela di certe categorie di lavoratori, il Dossier sembra dare ulteriore impulso alle attuali politiche governative, tendenti alla progressiva liberalizzazione del settore.