Sebbene nella classifica 2010 di Interbrand, riguardante la top 100 dei marchi mondiali, Zara abbia perso un paio di posizioni, passando dal 48° al 50° posto, battuta fra i distributori da H&M e Ikea, l’insegna spagnola è e rimane uno dei più grandi fenomeni del commercio su grandi superfici. Basti dire che è in grado di aprire un punto di vendita nel mondo praticamente ogni giorno e che lavora in 77 Paesi. A Roma, in via del Corso, ha tagliato il nasto del magazzino numero 5.000 il 9 dicembre.

Questa vera corazzata del commercio moderno specializzato, il cui successo, insieme a quello di H&M e all’atteso trionfo di Gap, che ha inaugurato poco tempo fa il suo primo store milanese, sconvolge la geografia, e anche la storia, dei grandi magazzini italiani, che poi tanto italiani rischiano di non esserlo più, visto che, come si legge nel “Primo Piano” di DM di questa settimana sia Rinascente che Coin veleggiano verso rotte straniere.

Il fatto è che Zara ha alle spalle un gruppo compatto, tosto, concentrato sul core business e sui risultati finanziari. Si tratta della spagnola Inditex che ha chiuso il periodo gennaio-settembre con un giro di affari di 8,9 miliardi di euro, in crescita di 14 punti. Il suo portafoglio di insegne spazia nei vari rami dell’abbigliamento e comprende, oltre al marchio di punta, Massimo Dutti, Bershka, Pull&Bear, Stradivarius, Oysho, Zara Home e Uterque.
L’Ebitda della società ha fatto un balzo, nel medesimo periodo, del 33%, e l’utile del 42%.


Nel corso dell’anno è stata estesa la rete dell’e-commerce, che non è più un mercatino per nerds, ma una realtà solida e potente, visto quello che stanno facendo colossi come Google, Amazon e tanti altri. Oggi Zara ha  una copertura di 11 Paesi, fra cui l’Italia, e cresce a fil di rete a un ritmo del 10%.

Questa storia aziendale forse ha una morale: che non valga la pena di stare aggrappati al core business?