Zona rossa: gli enti locali fanno ricorso
Zona rossa: gli enti locali fanno ricorso
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Lombardia, Alto Adige e Sicilia di nuovo in zona rossa: l’ennesimo e pesantissimo giro di vite è stato deciso, sabato 16 gennaio, dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha emanato un’ordinanza attuativa e integrativa del Dpcm 14 gennaio.
Le innumerevoli restrizioni ministeriali partono oggi, domenica 17 gennaio, e si protraggono fino al 31 gennaio (ma attenzione, il Dpcm, invece, è valido fino al 5 marzo), quando sarà fatta una rivalutazione epidemiologica. Ma gli interessati non ci stanno: la Provincia autonoma di Bolzano e Regione Lombardia preparano l’immediato ricorso alla giustizia amministrativa.
Le motivazioni di Attilio Fontana, presidente della Lombardia, sono facili da capire : “Non condividiamo questa scelta. Ritengo fortemente penalizzante questo scenario, che darà un colpo devastante a una grossa fetta dell’economia lombarda. Più volte ho chiesto al Governo di rivedere i parametri perché basati su dati vecchi, in questo caso del 30 dicembre, dati che, oltretutto, non tengono conto di importantissimi indicatori a noi favorevoli, come per esempio l’Rt sull’ospedalizzazione. In Lombardia, negli ultimi 15 giorni, la situazione è migliorata almeno tanto da classificarci in zona arancione”. Da qui il ricorso al Tar, previsto per domani, lunedì 18 gennaio, con richiesta di misura cautelare urgente.
Di tutti i divieti quello che pesa di più, a livello economico, è, naturalmente, il blocco di ogni attività non essenziale e a pagare il prezzo più alto sono ancora il non alimentare, specie l’abbigliamento, che aveva visto partire i saldi da pochissimi giorni, il 7 gennaio, una larga parte ristorazione (luoghi pubblici e aperti al pubblico), alla quale è vietato, su tutto il territorio nazionale anche l’asporto, dalle 18 in poi, per evitare aperitivi improvvisati fuori dai locali, che potrebbero, volendo, essere scongiurati con semplici interventi delle forze dell’ordine, e il sistema dei centri commerciali.
Osserva Confcommercio Lombardia: “Il nuovo giro di vite impatterà su 34.000 imprese dell’intera filiera moda nel pieno della stagione dei saldi, il che rischia di assestare il colpo di grazia a un sistema commerciale regionale che già si trova in ginocchio”.
“Non c’è solo la crisi terribile in cui versano i pubblici esercizi. Il nuovo orientamento, un provvedimento feroce, andrà a impattare su tante attività commerciali che, fra l’altro, hanno già sopportato il lockdown di novembre e le chiusure di dicembre. E, per giunta, nella stagione dei saldi. Non esageriamo se parliamo di un disastro”, scrive Carlo Massoletti, vicepresidente vicario di Confcommercio Lombardia.
“Sarà una débâcle per tanti negozi di abbigliamento, di calzature, di casalinghi, di pelletteria e valigeria – prosegue Massoletti -. Dobbiamo renderci conto che a rischio c’è la tenuta di un sistema economico già al limite, perché il tessuto commerciale delle nostre città è già fortemente compromesso da mesi di restrizioni della mobilità e di vero caos normativo, con il consumatore costretto a destreggiarsi tra regole e divieti che cambiano di giorno in giorno. La stagione di vendite promozionali, peraltro già fortemente penalizzata in partenza – con un calo della spesa a famiglia stimato in 70 euro rispetto allo scorso anno – ora sarà definitivamente compromessa su tutto il territorio regionale. La tenuta del sistema è appesa a un filo. Così come la vita di tanti centri storici e delle vie commerciali delle città”.
In Lombardia si stima che 4 aziende su 10 si apprestino a chiudere i conti 2020 in perdita e che la flessione del Pil, nei primi 9 mesi dello scorso anno, si attesti oltre i 12 punti percentuali, con flessioni particolarmente marcate, inutile dirlo, nel tessile-abbigliamento e nell’Horeca.
E, a proposito di ristorazione, “il divieto d’asporto è un intervento gravemente iniquo – rileva Confesercenti nazionale -. Oltre alle imprese di somministrazione senza cucina – bar, caffetterie e simili – colpisce infatti anche i negozi specializzati in bevande, come le enoteche, dove non è prevista alcuna consumazione sul posto. Un divieto quasi da proibizionismo, se non fosse che è limitato solo a pubblici esercizi e negozi specializzati: minimarket e grande distribuzione potranno infatti continuare tranquillamente a vendere bevande, anche alcoliche. Si tratta di una stortura da correggere immediatamente, perché rende ancora più odioso un divieto che è già di difficile comprensione. Si colpisce l’asporto per colpire gli assembramenti, che comunque continueranno anche con i bar e le enoteche chiuse per decreto”.
E se Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, ha stigmatizzato la ‘ribellione’, peraltro pacifica, ‘Io apro’, che ha percorso, nella serata del 15 gennaio, tutta l’Italia, anche se con un numero di adesioni, pare, piuttosto scarso, facendo notare che ‘non si viola la legge', la stessa Federazione ha fissato, per lunedì 18 gennaio un incontro tra i vertici di Fipe-Confcommercio, Fiepet Confesercenti, i sindacati dei lavoratori del settore e il Ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli.
Obiettivo è individuare un piano di interventi efficaci e coordinato a sostegno dei lavoratori e delle imprese della ristorazione e dell'intrattenimento, messi in ginocchio da mesi di sostanziale inattività, da una perdurante incertezza e da misure di indennizzo non sufficienti.
Il 2020, valuta Fipe, è stato davvero l’annus horribilis della ristorazione italiana e si è chiuso nel peggiore dei modi, con 37,7 miliardi di euro di perdite, pari al 40% dell’intero fatturato di settore.
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