Il commercio non demorde. Complici la risalita del Pil, ancora lontano però dalla media europea (1,5 contro 2,4%), l’aumento dell’occupazione in un quadro internazionale caratterizzato dallo sviluppo dell’economia statunitense e dell’area euro, l’incremento dell’indice della produzione industriale, i retailer italiani aprono oltre 500 nuovi negozi nel quadrimestre settembre-dicembre 2017, con una benefica ricaduta che supera le 4.000 nuove assunzioni.

L’Osservatorio Confimprese – presentato a Stresa durante il ‘Retail summit’ del 21 e 22 settembre - evidenza un’oggettiva capacità di tenuta del settore anche nell’ultima parte dell’anno e una previsione di nuovi insediamenti, per il 2018, di 2.000 Pdv per 20.000 ulteriori posti di lavoro.

«Prevediamo - commenta Mario Resca, presidente di Confimprese - una crescita del giro d’affari a fine anno del 3,2% a parità di perimetro e del 5,2, considerando le nuove aperture. Nel primo caso i ricavi dovrebbero raggiungere 148,5 miliardi, mentre con l’aumento delle reti si potrebbe arrivare a 150 miliardi. Chiediamo al Governo misure efficaci sulla decontribuzione degli oneri sociali e sul costo del lavoro, che porterebbero all’aumento dei consumi e a una ripresa del sentiment delle famiglie».

Come si legge nella nuova edizione del Rapporto Confimprese, “nel più vasto panorama del commercio, il franchising conquista vette importanti e apre in maniera trasversale la strada a un’attività su numerosi settori merceologici, con investimenti che possono essere molto contenuti (il 31% richiede un impegno iniziale compreso tra i 20 ed i 50.000 euro), o, al contrario, raggiungere cifre importanti per investitori che desiderano diversificare l’attività”.

Se la crisi economica ha investito molti comparti, con forti contrazioni nei consumi e ricadute a volte drammatiche, ha fatto anche emergere alcune valenze forti del carattere imprenditoriale dei franchisee, che hanno saputo utilizzare diverse leve gestionali per reagire, frazionando, per esempio, i volumi di acquisto, gestendo riordini e stock, minimizzando il circolante investito nelle scorte”. Da parte loro, i franchisor hanno risposto con reattività e flessibilità rivedendo, a volte in modo radicale, la propria strategia, l’organizzazione e l’offerta commerciale. Una dinamica che dà lustro al franchising italiano nel suo complesso, in quanto evidenzia l’esistenza di un buon livello di maturità manageriale e di sofisticazione gestionale, che non ha nulla da invidiare alle realtà dei Paesi più avanzati come Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania.

“Le categorie top – prosegue il documento - sono fashion e food con uguale numero di aperture, 130 punti vendita, ma il food si aggiudica la pole position per la creazione di nuovi posti di lavoro: 1.888. Da segnalare la crescita costante dello street food, che incontra le mutate esigenze di consumo degli italiani. Se il 2016 è stato l’anno record del cibo da strada, con una crescita del 13% e 2.271 imprese attive, gli operatori stimano che il 2017 sia la data del consolidamento”.

Buono anche il livello di ‘esportazione’ delle nostre insegne e anche se, come avverte sempre la fonte, il nostro Paese potrebbe fare di più con le sue varie eccellenze, l’Italia si piazza comunque al 16° posto su 144 nazioni nel ‘Global attractiveness index 2017’ di Gruppo Ambrosetti. “Il trend delle aperture è robusto e costante e, nell’ultimo scorcio del 2017 l’Osservatorio Confimprese estero rileva 106 opening su un piano di annuale di 230, dichiarato a inizio 2017”.

Sul versante delle sfide è di particolare interesse quanto spiegato da Donato Iacovone, amministratore delegato di EY (Ernst&Young) in Italia e managing partner dell’area mediterranea. In questo caso l'elemento emergente è l’online.

Secondo lo studio ‘EY Retail Intelligence 2017’, pur avendo alti tassi di crescita, il canale presenta costi due volte superiori rispetto all’offline. I retailer italiani che investono sulla rete faticano dunque a generare ricavi. Così, nonostante ne riconoscano l’importanza, 8 distributori su 10 non considerano il digitale come una strategia per aumentare le vendite.

Se dell’online non si può certo fare a meno – in quanto potente estensione della vetrina – il 90% degli acquisti viene ancora effettuato nei punti vendita tradizionali. Le decisioni però sono prese sulla rete, visto che il 60% dei consumatori dichiara di controllare in Internet i prodotti prima di recarsi nel negozio (83% negli Usa e 90% in Gran Bretagna). Il digitale deve consentire, a questo punto, di trasformare le visite digitali, in visite fisiche, le quali, a loro volta, segnano, in Italia un -4,7%, con picchi del -6,2 nei centri commerciali.

L’altra grande sfida è di tipo finanziario. Come spiega Iacovone “la finanza non è ancora valutata come leva per sostenere i fenomeni aggregativi fra aziende, nonostante costituisca un'opportunità per il mercato in tutti i settori: l’87% degli intervistati si finanzia attraverso debiti finanziari ‘non strutturati’, il 29% pensa alla Borsa, il 55% predilige il private equity”.