Origine obbligatoria degli alimenti, uno scontro frontale?
Origine obbligatoria degli alimenti, uno scontro frontale?
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Con l’approvazione, da parte delle Commissioni Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato di un emendamento da Dl Semplificazioni l’etichetta di origine diventa obbligatoria per tutti gli alimenti, ma i pareri in campo non sono affatto unanimi e, mentre Coldiretti è totalmente soddisfatta, Federalimentare bolla la cosa come un autogol.
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Commenta la Confederazione in un articolo pubblicato sul proprio sito: “L’etichettatura di origine obbligatoria degli alimenti è stata introdotta per la prima volta in tutti i Paesi dell’Unione Europea nel 2001 (Regolamento 1169/2011 ndr.) dopo l’emergenza mucca pazza nella carne bovina per garantire la trasparenza con la rintracciabilità e ripristinare un clima di fiducia. Da allora molti progressi sono stati fatti anche grazie al nostro pressing, ma resta l’atteggiamento incerto e contradittorio dell’Unione Europea che obbliga a indicare l’origine in etichetta per le uova ma non per gli ovoprodotti, per la carne fresca ma non per i salumi, per la frutta fresca ma non per i succhi e le marmellate, per il miele ma non per lo zucchero”.
Precisa, Ettore Prandini, numero uno di Coldiretti: “E’ una grande vittoria per agricoltori e consumatori per valorizzare la produzione nazionale, consentire scelte di acquisto consapevoli ai cittadini e combattere il falso Made in Italy. La norma consente di adeguare ed estendere a tutti i prodotti l’etichettatura obbligatoria del luogo di provenienza geografica degli alimenti”, come richiesto dalla quasi totalità degli italiani che hanno partecipato all'ultima consultazione pubblica del Mipaaft.
Il sondaggio, che risale alla scorsa primavera - 26.500 partecipanti e un questionario con 11 domande - conferma che per oltre il 96% dei consumatori è molto importante che sull'etichetta sia scritta in modo chiaro e leggibile l'origine dell'alimento e per l'84% è fondamentale che ci sia il luogo in cui è avvenuto il processo di trasformazione.
Per 8 italiani su 10 assume un'importanza decisiva al momento dell'acquisto che il prodotto sia fatto con materie prime italiane e sia trasformato in Italia. A seguire il 54% controlla che sia tipico, il 45% verifica anche la presenza del marchio Dop e Igp, mentre per il 30% è discriminante che il prodotto stesso sia biologico.
L’obiettivo – continua Coldiretti – è dare la possibilità di conoscere finalmente la provenienza della frutta impiegata in succhi, conserve o marmellate, dei legumi in scatola o della carne utilizzata per salami e prosciutti, ma anche difendere l’efficacia in sede europea dei decreti nazionali già adottati in via sperimentale in materia di etichettatura di origine di pasta, latte, riso e pomodoro.
“In un momento difficile per l’economia – conclude Prandini - dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti in una situazione in cui, a oggi, grazie alla mobilitazione di Coldiretti sono stati fatti molti passi in avanti nella trasparenza dell’informazione ai consumatori ma purtroppo ancora 1/4 della spesa degli italiani resta anonima”.
Molto diversa la posizione di Federalimentare. In una nota del 24 gennaio il presidente, Ivano Vacondio, ha spiegato le proprie ragioni: “Le norme che possono migliorare le informazioni ai consumatori sui prodotti alimentari sono fondamentali ma, in materia di etichettatura, siamo convinti che le misure debbano essere discusse e condivise a livello europeo e non solo italiano”.
La difesa della trasparenza dei prodotti e dell’informazione dei consumatori è sacrosanta - specifica Vacondio - a maggior ragione quando questa è orientata alla tutela delle produzioni di eccellenza del nostro Paese e alla difesa del nostro Made in Italy: “Tuttavia la questione dell’etichettatura è materia armonizzata a livello europeo proprio per evitare di introdurre obblighi valevoli per le sole imprese nazionali che, in questo modo, sarebbero le uniche a sostenere l’aggravio dei costi derivanti dalle misure introdotte e si troverebbero in svantaggio competitivo rispetto alle altre imprese dell’Ue che non si vedrebbero costrette ad applicare tale normativa”.
“Fughe in avanti come la tendenza all’introduzione di norme nazionali su materie armonizzate a livello comunitario - conclude Vacondio - è penalizzante e nociva per il nostro Paese. Per questo, Federalimentare auspica una modifica e una riapertura del dibattito in sede europea”.
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