Ultima frontiera del retail la liquidità – intesa come flessibilità – è la ricetta per affrontare la complessità di un consumatore “uno, nessuno e centomila” che cambia attitudini secondo la situazione e i bisogni del momento.
Perché in Italia l’innovazione è così rara?

È la domanda rivolta provocatoriamente da Fabrizio Valente, patron di Kiki Lab, in occasione della presentazione della terza edizione della ricerca “Retail Innovation”. La pubblicazione 2007, che presenta 20 casi internazionali analizzati da Kiki Lab all’interno del network Ebeltoft - International Retail Experts, ha ampliato il campo di ricerca ben oltre l’ambito del commercio moderno per approfondire concept ed esperienze di acquisto di beni e servizi diversi. Il panel complessivo, messo a punto in quindici anni di ricerca sul campo, consta oggi di 300 casi, ubicati in 41 città di tutto il mondo, dei quali 69 selezionati e pubblicati negli studi degli ultimi anni.

Valente ha introdotto una distinzione tra due tipologie di innovazione: una con tutte le maiuscole (INNOVAZIONE), capace di cambiare il paradigma ma limitata a pochi casi di grande successo, l’altra con la “i” minuscola, portatrice di miglioramenti del paradigma e necessaria per progredire nell’esperienza collettiva e quotidiana.

In uno scenario globale in cui gli esempi di innovazione emergono dai paesi più diversi del pianeta – oltre che da quelli considerati “mercati emergenti”, anche da insediamenti urbani “periferici” rispetto alle metropoli dell’Occidente industrializzato – l’Italia spicca per la mancanza di un sistema di comunicazione a rete, capace di diffondere la conoscenza delle innovazioni locali (glocal).

Secondo Walter Giorgio Scott, che ha coordinato la tavola rotonda, la microinnovazione continua è quella che conta per offrire al consumatore l’efficienza derivante dalla capacità di “fare bene” il proprio lavoro.

Come è possibile allora creare e aumentare il valore per il cliente differenziandosi dalla concorrenza? Mettendo il cliente al centro del processo e ripartendo dai fondamentali: il livello di servizio, dato per scontato dal cliente, non è così diffuso nei punti vendita italiani. Integrando l’innovazione di prodotto con quella distributiva in modo da facilitarne la comprensione da parte del consumatore. La complessità è tale da comportare una notevole fatica nell’implementare le novità su larga scala, a fronte del rischio di sperimentare “invenzioni” non replicabili, che non si trasformano in reale innovazione.

Innovare infine non è da tutti, in quanto “forma mentis” di chi è capace di differenziarsi, lottando quotidianamente contro il “si è sempre fatto così”. Rispettare la “signoria” del cliente, coinvolgendolo realmente nei processi aziendali, diventa quindi una necessità pressante che comporta però la capacità, da parte dei sistemi aziendali, di affrontare un passaggio difficile. Trovare le modalità per un ascolto proattivo rappresenta al contempo una grande opportunità e una sfida in quanto modifica letteralmente il “modo di pensare” dell’azienda.

Armonia e virtù stanno nel mezzo: restare ancorati a iniziative tradizionali che hanno dato un buon esito è rischioso tanto quanto lo è introdurre innovazioni che vadano troppo oltre i bisogni e le aspettative di un consumatore a cui devono risultare comprensibili prima ancora che apprezzabili.