Gli italiani consumano molto meno di otto anni fa. Nel 2018 la spesa media delle famiglie in termini reali – cioè al netto dell’inflazione – è stata di 28.251 euro ogni 12 mesi, inferiore di 2.530 euro ai livelli del 2011 (-8,2%). Una cifra superiore a un mese intero di acquisti da parte di un nucleo familiare tipo e anche alla perdita effettiva di reddito (-1.990 euro) registrata nello stesso periodo.

Complessivamente, sempre in 8 anni, il mercato interno ha lasciato sul terreno circa 60 miliardi di euro. Questi i dati più allarmanti che emergono dalla ricerca Confesercenti-Cer “2011-2020 l’Italia che non cresce”, presentata a Roma il 23 maggio.

Si spende di meno praticamente su tutto – al netto di istruzione e sanità –, ma la frenata non ha colpito con la stessa forza tutte le voci. Tra le poste più rappresentative dei bilanci domestici sono stati tagliati soprattutto gli interventi per l’abitazione, che hanno ceduto 1.100 euro circa in media annua. Decurtazioni importanti anche su abbigliamento (-280 euro), ricreazione e spettacoli (-182), comunicazioni (-164), alimentari (-322 euro).

Sorprende il colpo accusato proprio dalla voce comunicazioni che evidenzia una flessione percentuale di 19 punti. “Gli italiani – si legge - spendono meno anche per gli smartphone, un tempo passione nazionale. Impressionante anche la riduzione del budget impegnato sugli alimentari: una voce di consumo che un tempo si riteneva ‘incomprimibile’ e che, invece, ha perso 6 punti”.

Tra questo e il prossimo anno la spesa delle famiglie dovrebbe tuttavia registrare un lieve recupero, anche grazie alle misure espansive adottate nell’ultima legge di Bilancio: al 2020 si stima un valore, in termini reali, di 28.533 euro, con un incremento di poco più di 140 euro. La previsione, però, non incorpora il possibile aumento delle aliquote Iva previsto dalle clausole di salvaguardia per il 2020, e non ancora scongiurato ufficialmente.

L’innalzamento dell’imposta - Iva agevolata dal 10 al 13% nel 2020, Iva ordinaria dal 22 al 25,2% nel 2020 e al 26,5 nel 2021 - annullerebbe tutti i progressi, portando a una riduzione di 8,1 miliardi di euro della spesa delle famiglie, pari a 311 euro di minori consumi pro capite.

A condividere questi timori è il Centro studi di Confindustria, che nell’ultimo numero di ‘Congiuntura Flash’ (aprile 2019) commenta: “La scrittura della prossima manovra sarà un arduo esercizio; non ci sono opzioni né facili, né indolori. Gli aumenti dell’Iva e delle accise previsti dalle clausole di salvaguardia valgono 23,1 miliardi nel 2020. Inoltre, il Governo dovrà reperire le risorse per finanziare le politiche invariate (stimate in 2,7 miliardi nel 2020). Si tratta di una manovra ingente, con effetti recessivi: secondo le nostre stime, se scattassero gli aumenti delle imposte indirette farebbero diminuire la dinamica del Pil dello 0,3 per cento. Il Governo non dice, nel Documento di economia e finanza, come intende procedere. Si accenna a una riforma fiscale, che è una priorità, ma senza indicare dove recuperare le risorse. L’assenza di decisioni crea incertezza, mentre andrebbe restituita fiducia: alle famiglie, per evitare che accrescano il risparmio a fini precauzionali; alle imprese, affinché aumentino la propensione agli investimenti; agli investitori, perché si riduca il premio al rischio e scendano i tassi di interesse sui titoli di Stato”.

Lo scenario dimostra che non si riducono affatto le distanze fra le diverse aree italiane. Sempre Confersercenti constata che il Paese resta a due velocità, diviso tra un Nord che resiste e un Centro-Sud che – pur con alcune eccezioni – tira ancora la cinghia. Anzi i divari sono sempre più eclatanti: nel 2018 le famiglie lombarde hanno speso in media 33.621 euro, ben 14.000 in più di quelle Calabresi.

È proprio la Calabria la regione più in sofferenza: qui il nucleo familiare tipo dispone di un budget di 19.911 euro l’anno, quasi 5.800 in meno della media nazionale (28.251). Ma è tutto il Sud a mostrare, consistentemente, bilanci più ristretti del Nord. Dopo la Calabria, nella classifica delle regioni più ‘attente’ alla spesa, ci sono infatti la Sicilia (21.404 euro per nucleo familiare) e la Basilicata (22.317).

Le differenze variano, comunque, a seconda delle diverse voci, con qualche sorpresa: sebbene non sia spesso associata alla tavola, è la Valle d’Aosta a presentare il budget più alto per alimentari e bevande, pari a 5.544 euro l’anno, oltre 500 in più della media. In proporzione è la Campania – pure in seconda posizione per valori assoluti – a spendere di più: 5.380 euro, il 19,2% del bilancio familiare annuale, segnale di una forte propensione culturale verso l’enogastronomia. A frenare maggiormente sul food & beverage sono Abruzzo e Sicilia, che dedicano alla tavola rispettivamente 4.633 e 4.676 euro l’anno.

Le famiglie valdostane sono ancora prime in classifica per la spesa in abbigliamento e calzature: nel 2018 i nuclei della regione hanno investito in prodotti di moda 2.134 euro l’anno, oltre 800 in più della media nazionale. E l’abbigliamento è uno dei capitoli di spesa più importanti anche per il Molise. Qui le famiglie hanno sborsato in media, nel 2018, 1.808 euro l’anno: il 6,3% del loro budget complessivo, più della ‘regione della moda’, la Lombardia, dove si sono dedicati, a vestiti e scarpe, 1.717 euro.