di Luca Salomone

Mentre i consumi domestici di prodotti biologici flettono per la prima volta dopo anni, con un lieve ripiegamento dello 0,8% in valore - largamente compensato dal +53% della ristorazione, commerciale e collettiva -, quello che rimane intatto è il ruolo dell’Italia a livello internazionale.

Secondo l’Osservatorio Sana 2022, curato da Nomisma per Bologna fiere, il nostro Paese si mantiene leader per quota di superficie agricola, operatori ed export. Per esempio, l’Italia vanta quasi 2,2 milioni di ettari di Sau, che rappresentano la più alta incidenza di superficie bio sul totale (17%), rispetto a una media Ue ancora ferma al 9% e ben lontana dall’obiettivo del 25%, inserito nella strategia Farm to Fork per il 2030.

Vino molto effervescente

Non stupisce, dunque, la rincorsa delle esportazioni: nel 2022 le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto i 3,4 miliardi di euro – sempre più vicini ai 5 miliardi di di consumi interni -, mettendo a segno una variazione tendenziale del +16% nell’anno terminante a giugno.

Il riconoscimento del made in Italy è testimoniato anche della crescita di lungo periodo (+181% rispetto al 2012) e dalla quota dell’export sull’agroalimentare, che ha toccato il 6% rispetto al 4% di dieci anni fa.

Sono questi i dati che emergono dall’ultima analisi condotta nell’ambito di Ita.Bio, la piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico nostrano, curata da Nomisma e promossa da Ice Agenzia e Federbio.

Ma qual è il ruolo delle diverse categorie? «La maggior parte delle vendite estere (81% del totale) riguarda il food, per un valore di 2,7 miliardi di euro nel 2022 - spiega Emanuele Di Faustino, senior project manager di Nomisma -. Di rilievo anche il vino, che pesa per il restante 19% dei flussi, dunque con un’incidenza ben maggiore di quanto avviene con l’export classico, dove l'enologia ha un peso del 13% sul totale food & beverage. In termini assoluti parliamo di 626 milioni di euro di vino bio italiano venduto sui mercati internazionali, con una variazione positiva del 18% rispetto al 2021 e una quota sul totale dell’export vitivinicolo nazionale dell’8%, mentre il food si attesta al 6 per cento».

Per quanto riguarda i mercati presidiati, dall’indagine condotta tra luglio e agosto 2022 su un campione di 290 imprese alimentari e vitivinicole italiane, è emerso come le principali destinazioni siano la Germania (indicata nel complesso dal 63% delle aziende) e, a seguire, la Francia (46%) e il Benelux (34%). Per il vino a guidare è ancora il mercato tedesco (67%), seguito, a poche lunghezze, dai Paesi Scandinavi (61%) - dove, da sempre, l’apprezzamento del vino bio è molto alto - e dal Benelux (59 per cento).

Oltre i confini comunitari la fanno da padrone Svizzera, Stati Uniti e Regno Unito sia per il cibo, sia per il vino, dove, in particolare, risultano strategici anche Canada e Giappone.

Uno sguardo al futuro

E in futuro? Secondo le imprese, i Paesi più promettenti nei tre anni a venire saranno, ancora, Germania (56%), Europa del Nord (32%) e Stati Uniti (25%) per il food. Nel vino la classifica è simile, ma cambiano le posizioni: nazioni nordiche al 58%, Stati Uniti e Canada a pari merito e segnalati da un terzo delle aziende.

La qualità dei prodotti e il generale interesse del consumatore straniero per il made in Italy (indicati rispettivamente dal 66 e dal 60% delle imprese) sono il biglietto da visita del nostro bio sui mercati internazionali.

L’indagine campionaria, però, ha anche approfondito gli aspetti che rappresentano i maggiori ostacoli alla vendita dei nostri propri prodotti bio all’estero. Il vero elemento critico è quello dei costi legati alle attività di promozione sui mercati internazionali (percepiti come difficoltà dal 42%). Subito dopo le normative/burocrazie locali e la concorrenza di prezzo delle imprese locali (37% per entrambi).

Nel prossimo semestre e nel prossimo anno Il quadro macroeconomico, segnato da instabilità politica e rincaro delle materie prime e dei carburanti, spingerà ulteriormente verso l’alto la vocazione esportativa delle nostre imprese bio. Per l’80% dei soggetti aumentare l’esposizione oltre confine, individuando nuovi mercati, è "importante" o "molto importante". Fondamentale anche investire sulla sostenibilità (76%), in modo da diversificare i canali di vendita, intercettando una più ampia e variegata platea di consumatori (75 per cento).

Ma quali sono le previsioni di fatturato delle aziende bio italiane? A trainare il prossimo anno saranno ancora una volta, quasi inutile dirlo, i mercati esteri. Nello specifico, il 50% delle imprese food bio intervistate prevede di aumentare il fatturato legato all’export, quota che sale al 75% nel comparto del vino.

Più contenuti i pronostici di crescita per il mercato interno (almeno per il food): nel caso delle aziende alimentari il 23% si aspetta una crescita nella ristorazione e il 26% nella Gdo. Ben 4 aziende vitivinicole su 10 si attendono una tendenza positiva del fatturato Horeca, mentre 3 su 10 scommettono sulla distribuzione moderna.