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Essere digitali, perché tutto resti com'è
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Essere digitali, perché tutto resti com'è
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“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”: chi non ricorda la frase di Tancredi Falconeri nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa? Nato nobile, caduto in povertà e riciclatosi infine in cinico trasformista politico, Tancredi non mancava, come tutti i cattivi, di una robusta dose di intelligenza e di capacità di prevedere il futuro. Le sue parole contengono una verità profonda e fotografano quello che sta succedendo e succederà al nostro sistema dei consumi. E’ in atto una rivoluzione, dolorosa finché si vuole, ma che alla fine riporterà al proprio posto i protagonisti del sistema dei beni di consumo. I retailer torneranno a fare i retailer, anche se in modo radicalmente differente, e i consumatori torneranno a spendere, ad acquistare, anche se i mezzi di questo scambio non saranno più gli stessi.
Oggi il fronte caldo della rivoluzione è il consumatore: impoverito, esasperato dalla recessione, con la mente volta alla convenienza e gli occhi puntati sulla qualità. Come ha ben spiegato Alessandra Coletta, commercial director di Nielsen, lo scorso 19 novembre, durante l’ormai tradizionale appuntamento con i DM Awards, molti elementi premono sul pubblico: prezzi, discount, private label e promozioni, da un lato, clima economico, adv e affermazione di Internet, specie per quanto riguarda il mobile commerce. Il che vuol dire, saltando alle conclusioni, che la gente ricercherà sempre di nella multicanalità la soluzione al problema della spesa.
Problema? Anzi, un vero rebus: secondo gli ultimi risultati di Nielsen Consumer Confidence Survey, relativi al terzo quarter, il 30% degli italiani ha paura di perdere il proprio posto di lavoro, il 77% ritiene non buono o pessimo lo stato delle proprie finanze personali, l’86% reputa il momento assolutamente inadatto per compiere acquisti, il 29% non ha più denaro disponibile dopo avere soddisfatto i bisogni essenziali. E tutti questi indicatori si sono decisamente appesantiti rispetto a luglio-settembre 2012. Tagli dunque, specialmente sul vestiario, su pasti e intrattenimento fuori casa, sull’uso dell’auto e sulle vacanze. Ma anche fra le mura domestiche il 58% sceglie prodotti di largo consumo di fascia economica.
Tutto da copione, insomma, con buona pace dei falsi profeti (politici ed economisti) della ripresa, convinti, dal basso delle loro pance piene che il rilancio sia ancora una profezia che si auto adempie. Ma anni di povertà quotidiana hanno ucciso il “verbo”. La gente conta gli euro dell’incertissima busta paga e agisce di conseguenza.
Cosa c’entra in tutto questo Internet? Internet non è LA SOLUZIONE, ma comunque è una delle maggiori strade per ridare fiato a un sistema distributivo che rantola, che vede i suoi margini assottigliarsi, sia in senso assoluto, a causa dell’aumento della fiscalità, sia relativo, perché il valore intrinseco del prodotto-servizio deve aumentare, ma il prezzo rimanere costante, se possibile scendere. Ottenere fatturato sui volumi è una questione di sopravvivenza. E per fare questo bisogna moltiplicare i contatti, essere onnipresenti, multicanali.
Anzi “onnicanali”, perché anche il web sta cambiando. Lo sottolinea Claudio Gagliardini, social media specialist di Boraso.com, società votata al marketing digitale: “Nessuno lo chiama 3.0, ma questo non è più semplicemente il web 2.0. Si sta affermando la search e non è più solo Google ad aiutarci a cercare e trovare, ma è il web sociale. Parliamo dunque di social search”, un terreno complesso nel quale aziende e consumatori si incontrano ad armi quasi pari, si scambiano informazioni, che diventano anche emozioni e che strutturano le basi di un rapporto che può anche – non necessariamente deve - trasformarsi in acquisto. “Tra il 2014 e il 2015 – continua Gagliardini – il traffico dati mobile supererà quello da desktop. Gli utenti saranno sempre connessi e utilizzeranno la rete per quasi tutte le loro attività. Ai dispositivi che già conosciamo se ne aggiungeranno altri, dai glass ai wereable computer”. Il commercio on line crescerà in modo esponenziale, anche se in realtà la differenza tra on e off line tenderà ad attenuarsi. Si comprerà in un non luogo, geograficamente poco rilevante, mentre l’unico posto umanamente sensato sarà quello di ritiro della merce (casa, pick up point, magazzino o negozio del distributore, punto di arrivo del corriere).
E non è solo la rete che cambia, ma è anche il tessuto sociale, come rileva Lucio Lamberti, docente di marketing del Politecnico di Milano. “Nella nostra città il secondo cognome più diffuso è Hu; 8,5 milioni di italiani si dichiarano vegetariani. Il cibo halal nella nostra Penisola fattura 5 miliardi di euro. Un italiano su 7 vive al disotto della soglia di povertà. Gli utenti mobile sono 48 milioni e il 41% della popolazione ha uno smartphone. Ben 28,7 milioni sono su Internet e 17 milioni al giorno si collegano a Facebook in larga parte – 10 milioni – tramite dispositivi mobili”. Più preparati, multirazziali e multietnici anche nei gusti, tecnologici, in contatto tra loro. Potenziali rivoluzionari? Forse, ma non necessariamente. Tutto come, dicevamo all’inizio, può restare com’è e ognuno può continuare a svolgere il proprio ruolo, a indossare la propria maschera, a patto di accettare il cambiamento. Ma anche a patto di sapere, conclude Lamberti, “che ormai il cliente può trovare quello che vuole. Se vuoi darglielo tu, bene. Sennò lo farà qualcun altro”.
Oggi il fronte caldo della rivoluzione è il consumatore: impoverito, esasperato dalla recessione, con la mente volta alla convenienza e gli occhi puntati sulla qualità. Come ha ben spiegato Alessandra Coletta, commercial director di Nielsen, lo scorso 19 novembre, durante l’ormai tradizionale appuntamento con i DM Awards, molti elementi premono sul pubblico: prezzi, discount, private label e promozioni, da un lato, clima economico, adv e affermazione di Internet, specie per quanto riguarda il mobile commerce. Il che vuol dire, saltando alle conclusioni, che la gente ricercherà sempre di nella multicanalità la soluzione al problema della spesa.
Problema? Anzi, un vero rebus: secondo gli ultimi risultati di Nielsen Consumer Confidence Survey, relativi al terzo quarter, il 30% degli italiani ha paura di perdere il proprio posto di lavoro, il 77% ritiene non buono o pessimo lo stato delle proprie finanze personali, l’86% reputa il momento assolutamente inadatto per compiere acquisti, il 29% non ha più denaro disponibile dopo avere soddisfatto i bisogni essenziali. E tutti questi indicatori si sono decisamente appesantiti rispetto a luglio-settembre 2012. Tagli dunque, specialmente sul vestiario, su pasti e intrattenimento fuori casa, sull’uso dell’auto e sulle vacanze. Ma anche fra le mura domestiche il 58% sceglie prodotti di largo consumo di fascia economica.
Tutto da copione, insomma, con buona pace dei falsi profeti (politici ed economisti) della ripresa, convinti, dal basso delle loro pance piene che il rilancio sia ancora una profezia che si auto adempie. Ma anni di povertà quotidiana hanno ucciso il “verbo”. La gente conta gli euro dell’incertissima busta paga e agisce di conseguenza.
Cosa c’entra in tutto questo Internet? Internet non è LA SOLUZIONE, ma comunque è una delle maggiori strade per ridare fiato a un sistema distributivo che rantola, che vede i suoi margini assottigliarsi, sia in senso assoluto, a causa dell’aumento della fiscalità, sia relativo, perché il valore intrinseco del prodotto-servizio deve aumentare, ma il prezzo rimanere costante, se possibile scendere. Ottenere fatturato sui volumi è una questione di sopravvivenza. E per fare questo bisogna moltiplicare i contatti, essere onnipresenti, multicanali.
Anzi “onnicanali”, perché anche il web sta cambiando. Lo sottolinea Claudio Gagliardini, social media specialist di Boraso.com, società votata al marketing digitale: “Nessuno lo chiama 3.0, ma questo non è più semplicemente il web 2.0. Si sta affermando la search e non è più solo Google ad aiutarci a cercare e trovare, ma è il web sociale. Parliamo dunque di social search”, un terreno complesso nel quale aziende e consumatori si incontrano ad armi quasi pari, si scambiano informazioni, che diventano anche emozioni e che strutturano le basi di un rapporto che può anche – non necessariamente deve - trasformarsi in acquisto. “Tra il 2014 e il 2015 – continua Gagliardini – il traffico dati mobile supererà quello da desktop. Gli utenti saranno sempre connessi e utilizzeranno la rete per quasi tutte le loro attività. Ai dispositivi che già conosciamo se ne aggiungeranno altri, dai glass ai wereable computer”. Il commercio on line crescerà in modo esponenziale, anche se in realtà la differenza tra on e off line tenderà ad attenuarsi. Si comprerà in un non luogo, geograficamente poco rilevante, mentre l’unico posto umanamente sensato sarà quello di ritiro della merce (casa, pick up point, magazzino o negozio del distributore, punto di arrivo del corriere).
E non è solo la rete che cambia, ma è anche il tessuto sociale, come rileva Lucio Lamberti, docente di marketing del Politecnico di Milano. “Nella nostra città il secondo cognome più diffuso è Hu; 8,5 milioni di italiani si dichiarano vegetariani. Il cibo halal nella nostra Penisola fattura 5 miliardi di euro. Un italiano su 7 vive al disotto della soglia di povertà. Gli utenti mobile sono 48 milioni e il 41% della popolazione ha uno smartphone. Ben 28,7 milioni sono su Internet e 17 milioni al giorno si collegano a Facebook in larga parte – 10 milioni – tramite dispositivi mobili”. Più preparati, multirazziali e multietnici anche nei gusti, tecnologici, in contatto tra loro. Potenziali rivoluzionari? Forse, ma non necessariamente. Tutto come, dicevamo all’inizio, può restare com’è e ognuno può continuare a svolgere il proprio ruolo, a indossare la propria maschera, a patto di accettare il cambiamento. Ma anche a patto di sapere, conclude Lamberti, “che ormai il cliente può trovare quello che vuole. Se vuoi darglielo tu, bene. Sennò lo farà qualcun altro”.
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