Da qualche anno, ormai, si assiste a un incremento del numero di insegne e di punti vendita nel nostro Paese. Ma si riscontra contemporaneamente anche un calo della produttività. Secondo i dati Cermes Bocconi, infatti, nel 2006 la crescita complessiva è stata del 3,4%, mentre a parità di rete si è registrata una flessione dello 0,9%, che nei primi quattro mesi del 2007 ha superato i due punti percentuali. E questo rallentamento, sempre nel primo quadrimestre dell’anno, ha toccato in modo particolare i discount e gli ipermercati, con perdite rispettivamente del 2,1% e del 4%.

La pressione promozionale, intanto, inizia a perdere un po’ della sua efficacia e a crescere con un ritmo minore rispetto al passato. Dal 2001 al 2006 si è passati dal 28,3% al 30,5% delle vendite a valore del largo consumo confezionato. Ma è importante sottolineare che nel 2005 la promozione era del 31,4%.

Tra le principali cause della crisi dell’ipermercato troviamo il cambiamento del comportamento d’acquisto del consumatore, che nella scelta del formato e dell’insegna preferisce la prossimità al prezzo. La convenienza sembra così perdere importanza, soprattutto quando si considera un singolo prodotto e non l’intero paniere.

Il consumatore moderno ha meno tempo da investire per l’acquisto di prodotti banali, acquista meno d’impulso e usa maggiormente la lista della spesa e il volantino. C’è anche meno propensione allo stoccaggio dei prodotti, in quanto è più facile trovarli spesso in promozione.

Oltre al consumatore, però, cambia anche il contesto del mercato dei prodotti non food, con le grandi superfici specializzate - i category killer - che conquistano il posizionamento di convenienza, grazie al fatto che riescono a coprire i primi prezzi e a sviluppare promozionalità.

L’iper, invece, non ha saputo sfruttare i propri punti di forza, come la frequenza d’acquisto e la fedeltà, quasi del tutto assenti nelle grandi superfici specializzate dove l’innovazione e il tempo caratterizzano il passaggio tra un acquisto e l’altro.

Per quanto riguarda invece il mondo food, l’aumento della frequenza promozionale ha penalizzato l’iper per la minore frequenza d’acquisto di questo formato. Tra gli altri fattori troviamo anche la promozione sul fresco, la concentrazione dello sconto su pochi prodotti e la comunicazione televisiva delle promozioni dei super.

Una via d’uscita ai problemi dell’ipermercato potrebbe essere la rinuncia allo sviluppo o la riduzione verso il format del superstore. Oppure, come è accaduto per la catena Sainsbury, attraverso la riduzione della superficie di vendita non food.

Accanto a queste soluzioni drastiche si può considerare anche la reinterpretazione del format, che invece di trattare tutte le categorie va in profondità con un approccio di multispecializzazione. Ricalcando invece la tecnica del discount, si potrebbe attuare la variabilizzazione dell’assortimento non food, non trattando quindi tutte le categorie in modo permanente ma cambiandole continuamente una volta esaurito il prodotto.

Altre vie d’uscita sono un utilizzo più produttivo degli spazi disponibili, affittando superfici non food sottoperformanti per shop in shop, dove raccogliere per esempio tutte le innovazioni, oppure attraverso i temporary store, che ora si vedono sempre più spesso nelle città ma potrebbero essere inseriti in un ipermercato.

Possibili soluzioni, quindi, che possono rappresentare delle opportunità anche per l’industria di marca. Così come la multicanalità, scelta per esempio dai produttori di profumi e cosmetici per contrastare la riduzione della frequenza media delle visite alle profumerie, sempre più spesso frequentate solo in occasioni speciali o per fare regali. Altro elemento a favore della multicanalità è la crescente propensione a effettuare gli acquisti di prodotti di igiene e bellezza insieme a quelli alimentari presso supermercati e ipermercati.

Dall’altra parte, però, il fatto che il consumatore non voglia risparmiare su tutto ciò che rientra nella cura della persona e nella promozione edonistica della bellezza fa propendere per la monocanalità. Non va dimenticato che, per quanto riguarda la cura viso, mani e corpo, il canale specializzato pesa ancora il 70% in valore.