Non c’è dubbio che si tratterebbe proprio di un colpaccio se – come si vocifera – Coin dovesse riuscire nel progetto di fusione (o forse sarebbe meglio parlare di acquisizione) con un marchio storico della distribuzione come Upim. Un successo sicuramente di immagine, ma anche di sostanza. E sarebbe in primo luogo un successo per Stefano Beraldo, l’amministratore delegato di Coin che – va riconosciuto – da quando è arrivato, solo qualche anno fa, ha rivoltato come un calzino l’azienda rigenerandola e rivitalizzandola.

L’idea
peraltro non è nuova. E’ infatti da un paio d’anni che Coin accarezza il sogno di potersi espandere, oltre che per via diretta, anche attraverso acquisizioni di altre aziende. L’ha fatto, per esempio, sul finire dello scorso anno con l’accorpamento di Melablù, la cui rete di 60 negozi è entrata a far parte del portafoglio di marche-insegna del gruppo veneto, costituito oltre che da Coin anche da Oviesse.

Ora Coin torna all’attacco con Upim. Sul piatto ci sono 140 punti vendita di diretti e 257 in franchising che generano un fatturato vicino ai 500 milioni di euro annui. Uniti al giro d’affari del Gruppo Coin (che nel 2008 ha chiuso a 1,173 miliardi di euro) porterebbero l’azienda veneta ad assumere una massa critica considerevole nel panorama dei retailer specializzati nel settore dell’abbigliamento e più in generale del non food.