Sul sito di Cibus formano un elenco di quasi 90 pagine web le novità di prodotto in vetrina a Parma. L’innovazione, insieme all’export, è infatti uno dei concetti chiave di questa 18ma edizione della rassegna che, fino a giovedì 12, tiene accesi i riflettori sull’alimentare italiano.

In fiera sono presidiati tutti i comparti, ma un’attenzione particolare va ai mercati emergenti, dal biologico alle ricettazioni con meno grassi e meno sodio, al senza glutine. Per le linee vegetariane e vegane è stata creata l’etichetta ‘Veg’ che segnala gli stand.

Il salone, organizzato da Fiere di Parma e Federalimentare, ha, sulla scia del dopo Expo, numeri da record: 3.000 espositori, un’area di 130.000 mq, 70.000 visitatori, di cui 15.000 dall’estero, 2.000 top buyer.

L’innovazione è, come detto, il tema centrale. Lo ha ribadito il titolo dell’Assemblea pubblica di Federalimentare, svoltasi il 9 maggio: “Made in future: food & beverage italiano fra innovazione e tradizione”.

Ma qual è l’atteggiamento degli italiani verso i nuovi prodotti? Alla domanda risponde una recente analisi di Iri, presentata in occasione del premio “Eletto prodotto dell’anno”. Secondo questa fonte la sensibilità verso l’innovazione è in continua crescita e ben l’86% dei consumatori ragiona oggi in un’ottica di forte disponibilità a sperimentare. Ma resta comunque elevato (47%) il numero di coloro che ritengono che non ci siano abbastanza nuovi prodotti sul nostro mercato.
Se l’innovazione è un must, essa deve comunque rispondere a precise condizioni, a cominciare dal prezzo: la quasi totalità dei soggetti (89%) è interessata al ‘nuovo’ solo in presenza di cifre sostenibili.

Una larga maggioranza accetta il fatto che le innovazioni vengano inserite nella fascia premium a patto, però, che la promessa di soddisfazione sia mantenuta in pieno (66%). E questo gruppo, di giustamente esigenti, è salito di 3 punti rispetto al 2014: in sostanza, possiamo dire che, a fare la differenza è, sempre più spesso, un azzeccato mix di prezzo e qualità. Altri driver dell’innovazione, sono, sempre secondo Iri, la naturalità del prodotto, la sua capacità di rispettare l’ambiente e, non ultima, la facoltà di semplificare la vita.

“Se la propensione all’acquisto di nuovi prodotti, in 10 anni, è balzata dal 62 all’86%, a dispetto della recessione – si legge - questa inclinazione al cambiamento comporta l’esplosione di nuovi trend alimentari e nel contempo una maggiore consapevolezza sugli ingredienti dei beni che usiamo e consumiamo. Si è sviluppata anche una nuova attenzione verso la sostenibilità”. Presidiare questi trend con la proposta di novità rappresenta una grande opportunità di crescita.

L’altra leva di sviluppo fondamentale è l’export. Le elaborazioni di Federalimentare sui dati Istat evidenziano che, nel 2015, le nostre vendite oltre confine di alimentari e bevande hanno raggiunto quasi 29 miliardi di euro, con un aumento del 6,7% sul 2014. Nonostante gennaio 2016 segnali una flessione dell’1,3% in valore, un solo mese è decisamente poco per parlare di un’inversione di trend.

Se poi si considera tutto l’agroalimentare il dato 2015 sale a 37 miliardi (9% dei flussi in uscita dell’Italia). Il rapporto export/fatturato, dal canto suo, ha toccato il 21,9 per cento, un indicatore che fa risaltare ancora di più il vantaggio di passo delle esportazioni alimentari su quelle complessive del Paese, che hanno marciato, invece, con un ritmo del +3,9 per cento.

A livello di segmento si sottolineano i picchi raggiunti, oltre frontiera, dalle acque minerali e gassose (+20,9%), dalla birra (+18,7%), dai prodotti dell’industria molitoria (+13,3%), dall’ittico (+12,0%) e dal caffè (+11,2%).