di Luca Salomone

Per la prima volta i settori della nutraceutica e dei novel food sono passati sotto la lente del centro studi di Mediobanca, ma non per un focus di prevalente taglio finanziario, ma per una ricerca di mercato che, in 40 pagine, ne analizza gli andamenti attuali e futuri, in Italia e nel mondo.

Dai cibi dietetici alla carne sintetica, dagli integratori ai free from, dai prodotti vegani agli insetti, i nuovi alimenti valgono 500 miliardi di dollari nel mondo (4,8 miliardi in Italia) e, entro il 2027 toccheranno 745 miliardi di dollari.

A brillare è, in particolar modo, il comparto dei dietetici per il controllo del peso, che, da solo, vale 214 miliardi di dollari (303 fra sei anni), seguito dagli integratori alimentari, un segmento da più di 150 miliardi di dollari e da 237 miliardi nel 2027.

Molto importanti anche i prodotti per l’infanzia, che hanno chiuso l’anno con un giro d’affari di circa 73 miliardi (107 entro il 2027).

Il vegano, dal canto suo, ha ottime cifre e vale, in tutto, 25 miliardi di dollari, che saliranno a 42, con un ritmo di crescita del 9% annuo, il più alto fra tutti.

Il mercato italiano

In Italia la nutraceutica ammontava, nel 2020, a 4,8 miliardi di euro. La parte più cospicua spetta agli integratori alimentari, un mercato in cui il nostro Paese ha raggiunto circa 3,8 miliardi di euro (+9,2% sul 2008 e +2,9% sul 2019), confermandosi come il più importante produttore europeo.

Questi prodotti sono veicolati al pubblico essenzialmente attraverso il canale farmaceutico che, nel 2020, ha realizzato vendite per 3 miliardi di euro (79% del totale). Seguono, a pari merito, le parafarmacie (8%) e la Gdo (8%), con fatturati di 300 milioni ciascuno, mentre il residuo 5% è acquistato nei negozi per sportivi e online, per un valore di 200 milioni.

“La leadership nazionale – scrive Mediobanca - si candida a rimanere tale anche nel 2025, anno in cui potrebbe raggiungere 4,8 miliardi di euro, con un’ampia superiorità sulla Germania (3,6 miliardi) e sulla Francia (3,1 miliardi)”.

Completano il quadro del nostro Paese la nutrizione specializzata in senso stretto, con ulteriori 700 milioni (400 milioni solo i prodotti per celiaci) e il baby food (300 milioni di euro nel 2020).

Un capitolo a parte merita il segmento delle proteine vegetali, alternative a quelle di derivazione animale. A livello mondiale, entro il 2035, passerà dall’attuale 2% all’11 per cento del mercato delle proteine stesse, per un valore di circa 290 miliardi di dollari.

Le carne sintetica e gli insetti

La frontiera più spinta dell’alimentazione è però rappresentata dalla carne sintetica. Attualmente, in questo segmento, operano circa 100 start up, che nel 2020, hanno raccolto capitali per 370 milioni di dollari, sei volte l’ammontare del 2019. A causa delle tante sfide, il settore non è di facile lettura in un’ottica previsionale: le stime oscillano, paurosamente, fra i 5 i 25 miliardi di dollari al 2030. Tuttavia, il decollo è legato a una progressiva democratizzazione del prodotto e all’evoluzione normativa, visto che, al momento, solo Singapore ha regolamentato la vendita di carne da laboratorio.

Prezzi al consumo: “Rispetto alle mirabolanti quotazioni iniziali – si legge - l’obiettivo è di arrivare a un prezzo della carne artificiale attorno ai 20 dollari a chilogrammo, un obiettivo, questo, che dovrebbe essere raggiunto nel 2030”.

Infine, l’industria mondiale degli insetti: si prevede un aumento, fino a 1 miliardo di dollari, nel 2023 per poi arrivare a 4,6 miliardi nel 2027, con un tasso di crescita medio annuo del 44 per cento. Da notare, su questo versante, che, nei giorni scorsi, la Commissione europea ha dato via libera alla commercializzazione dell’Acheta domesticus (grillo), dopo il verme giallo essiccato e la locusta migratrice.

La sostenibilità come spiegazione

Ma perché mangiare proteine vegetali, carne in vitro, insetti? Perché, intanto, la popolazione mondiale ha raggiunto, nel 2021, 7,9 miliardi di persone.

Giocano poi, fortemente, motivazioni di sostenibilità. “Secondo alcune stime – riporta Mediobanca - la filiera alimentare è responsabile del 26% delle emissioni di gas serra e di tale quota il 50% è riferibile alle attività di allevamento (a causa della deforestazione e della produzione di metano dai processi digestivi degli animali). Anche le risorse idriche sono fortemente sollecitate dalle attività agricole e di allevamento: il consumo di acqua dolce è per il 92% riferibile a esse, e solo l’8% finirebbe assorbito dai consumi industriali e umani. Ugualmente impegnativo è l’uso della terra: il 50% di quella abitabile è adibito al settore primario e di esso il 77% è destinato all’allevamento”.

La filiera della produzione, lavorazione e trasporto di carne e uova – continua lo studio – determina il 56% delle emissioni, quella lattiero casearia il 27%, mentre il resto si riferisce, essenzialmente, a verdura e frutta che, quindi, sono meno impattanti.

L’ipotetica sostituzione, nel 2035, della carne animale e delle uova con i loro surrogati vegetali porterebbe a una riduzione di emissioni pari a quelle prodotte in un anno dall’intero Giappone. Ciò in quanto i sostituti vegetali comportano un ventesimo delle emissioni relative alla carne bovina da allevamento, a un decimo di quella avicola e a un nono di quella suina.

Scarica la ricerca del centro studi Mediobanca