Inflazione e, soprattutto, aumenti dei prezzi. Se ne fa un gran parlare negli ultimi tempi. E non potrebbe essere diversamente vista la situazione di oggettiva difficoltà in cui versano moltissimi italiani, alle prese con scarni salari e un potere d’acquisto che si è via via assottigliato negli ultimi anni.

Le cause di tali problemi, come noto, sono numerose e complesse. Ma semplificando si possono ridurre a due: fattori internazionali amplificati nei loro effetti dalle inefficienze del sistema Italia.

Non si può quindi non essere d’accordo con il presidente di Federdistribuzione, Paolo Barberini, quando afferma che «pensare che la Grande Distribuzione Organizzata rappresenti l’elemento di aggravamento nel processo di formazione del prezzo nella filiera agroalimentare italiana è quantomeno strumentale».

Le cose non stanno così. L’elevata competitività tra le imprese del settore, il crescente ricorso a campagne promozionali, lo sviluppo delle marche private e dei prodotti di primo prezzo sono un fatto riconosciuto anche dal più semplice e ingenuo dei consumatori. Una realtà che ha permesso alla struttura distributiva nel suo insieme di contenere i prezzi al consumo più di quanto non sia avvenuto in altri comparti (basti pensare all’energia, alle banche, alle assicurazioni).

Sono i numeri, del resto, a parlare in difesa dell’operato delle catene presenti nel nostro paese. A parte qualche eccezione, negli ultimi 4 anni, a fronte di aumenti cumulati di servizi e tariffe del 17,8% e di un’inflazione che ha raggiunto l’8,2%, la variazione dei prezzi dei prodotti confezionati nella gdo è stata solo dell’1,8% (dati Istat e IRI Infoscan).

Le cause stanno altrove. In una filiera ancora caratterizzata da forti inefficienze, per esempio, da ridotte dimensioni d’impresa. Ma soprattutto da un’eccessiva lunghezza: troppi gli intermediari che contribuiscono ad alzare i prezzi al consumo senza aggiungere alcun valore concreto ai prodotti.

«Occorre ripensare alle politiche agricole comunitarie – ha lamentato nei giorni scorsi Barberini - eliminando i vincoli alla produzione per far fronte in modo adeguato alla crescita della domanda mondiale, accorciare e rendere più efficienti le filiere, sostenere i processi di liberalizzazione dei mercati, consentendo così alla concorrenza di giocare il suo ruolo positivo sul livello dei prezzi».

Anche su queste dichiarazioni non si può che essere d’accordo. Lo siamo un po’ meno quando Barberini bolla però come «non realistico» il fiorire di iniziative locali che propongono panieri di prodotti a prezzi bloccati per qualche mese (rilanciate nei giorni scorsi dalla regione Marche, seguita da diverse altre regioni). Nessuno nega che si tratti di operazioni di corto respiro e che presentano effetti più di comunicazione che una reale capacità di incidere sul costo della vita. Ma perché negare ai consumatori anche questa piccola possibilità di risparmiare qualche euro. In attesa naturalmente di interventi strutturali che ammodernino la rete distributiva italiana e non solo.