Dopo le critiche sollevate da una parte dell’Esecutivo, ma anche da alcune associazioni agricole e associazioni di consumatori, in materia di prezzi della pasta (si veda altro articolo di Distribuzione moderna), arriva l'analisi di Unione italiana food, che raggruppa, al suo interno, anche questo importante settore del nostro alimentare.

Il punto di vista di Unionfood è stato espresso in occasione dell’incontro tenutosi ieri, 11 maggio, a Roma e indetto dalla Commissione di allerta rapida per analizzare la dinamica del prezzo di questo importante prodotto.

L'allineamento con i dati Istat

Secondo l’associazione è infondato prendersela con l’industria, visto che il prezzo della pasta alla produzione è cresciuto in un anno dell’8,4% (dati ufficiali Istat, marzo 2023 su marzo 2022), ovvero al pari dell’indice di inflazione medio registrato dai beni al consumo.

L’incremento per il consumatore – che dipende da dinamiche esterne al mondo della produzione della pasta - si attesta invece, spiega Uif, su una percentuale del 16,5% (e non del 17,5% o di altre cifre enunciate erroneamente in questi giorni), quando la media del totale dei prodotti alimentari è del 15% (dati ufficiali Istat, aprile 2023 su aprile 2022).

Parliamo quindi di un rincaro di un punto e mezzo percentuale in più rispetto agli altri beni.

«I pastai italiani sono sempre dalla parte dei consumatori. Vorremmo che si uscisse da questa giornata con il riconoscimento che la pasta è la soluzione, non il problema. Lavoriamo tutti nella direzione di tutelare sempre al meglio i consumatori ma, seppure i costi rimanessero quelli attuali, non possiamo dimenticare che l’aggravio di spesa per persona all’anno sarebbe di circa 10 euro, ovvero il 16,5% in più su un prodotto che costa in media circa 1,07 euro al pacco (dato Istat). Insomma, ben al di sotto di tanti altri rincari e perfettamente in linea con il costo dell’inflazione. Tenendo conto che si tratta di un prodotto che finisce quotidianamente sulle tavole degli italiani, sinceramente l’allarmismo di questi giorni appare davvero poco giustificato. Si sono letti tanti numeri, alcuni anche sbagliati: resta il fatto che noi pastai possiamo solo ribadire quanto ci dicono le statistiche ufficiali», ha sostenuto Unione italiana food, durante il vertice svoltosi a Palazzo Piacentini e convocato dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo, noto come Mister Prezzi.

Nel corso dell’incontro il Ministero dell’Agricoltura ha riferito che, all’esito di controlli effettuati dall’Ispettorato centrale repressione frodi, nessun fenomeno speculativo, o illecito è stato registrato.

Effetto boomerang

Secondo Uif, l’incremento è un dato logico e facilmente spiegabile. La pasta oggi a scaffale è stata prodotta mesi fa con grano duro acquistato alle quotazioni del periodo ancora precedente, con i costi energetici del picco di crisi bellica, cui si sono aggiunti i forti costi del packaging (carta e plastica) e della logistica (carburante, pallet, container).

I prezzi di oggi, quindi, sono il risultato di una libera contrattazione fatta dalle singole aziende con la distribuzione. Una situazione che i pastai non hanno tardato a definire come una “tempesta perfetta” per il settore e non solo: anche gli altri generi alimentari hanno subito gli stessi incrementi. È vero, i costi sono scesi, ma non sono tornati ai livelli del passato e sono ancora piuttosto sostenuti rispetto a quelli registrati a cavallo del 2020/2021.

All’inizio del 2022, il prezzo del grano era salito a quasi 600 euro a tonnellata (+110% rispetto allo stesso periodo del 2021) e ora è sceso sensibilmente, attestandosi fra i 350 e i 380 euro (comunque +30% rispetto al 2019). Stessa dinamica la può riscontrare per i costi energetici e per le altre voci.

Quando il grano duro era alle stelle - fa presente Uif - non è stato avvertito nessun grido di allarme per i pastai. Eppure, si tratta di un settore con una marginalità ridottissima visto che, con poco più di un euro si acquista un pacco di pasta da 500 grammi e in quell’euro ci sono tutte le voci di costo: il grano duro, la trasformazione del grano in semola, i costi energetici di aziende fortemente energivore (elettricità e gas), il packaging, i trasporti e altro ancora.

«Fa male vedere che qualche organizzazione agricola, che conosce bene questi meccanismi, metta in contrapposizione il basso prezzo del grano duro con il presunto prezzo alto della pasta e non faccia altrettanto a condizioni invertite. Questo approccio non fa bene alla filiera – continua Unione italiana food - Se la pasta ha un prezzo più sostenuto è probabile che, in prospettiva, ci sia più margine di crescita anche per il grano duro. Di certo, se il prezzo della pasta è basso, il prezzo del grano duro è destinato a comprimersi e le aziende pastaie a chiudere».

Cosa che sta già accadendo: i pastifici italiani sono sempre meno (500 negli anni Settanta e poco più di 100 oggi) e la ridottissima marginalità che caratterizza la produzione mette a dura prova la tenuta dei bilanci delle aziende e con essa un pilastro del made in Italy food.