Il fatto era già noto, ma vederlo scritto in cifre fa impressione: più della metà delle nostre grandi superfici, e oltre l’80% di quelle del Nord, deve essere rinnovato. Il dato medio delle nazioni ad alto sviluppo è decisamente inferiore, pari al 30%, che comunque non è poco. A dirlo, al Mapic di Cannes, è stata Jones Lang LaSalle, come riporta “Il Sole 24 Ore”.

Il fenomeno trova spiegazione nel fatto che l’ingresso della gdo – nelle formule del centro commerciale e dell’iper - comincia, nel nostro Paese, verso la metà degli anni Settanta, con le prime aperture da accreditare a Metro e a Carrefour, anche se ovviamente già prima esistevano supermercati di quartiere, come quelli a marchio Sma.

In sostanza il nocciolo duro dei grandi punti di vendita ha fra i trenta e i quarant’anni e, nonostante abbia già vissuto una fase di totale ripensamento,  sta da tempo attraversandone una seconda, e in certi casi una terza. Gli edifici sono vecchi, le architetture da ripensare, i layout da rivedere. Molte catene, ovviamente, si sono portate avanti, e hanno intrapreso la strada del cosiddetto “refurbishment” da diversi anni. Ma il dato di Jll resta vero, specialmente nelle aree Nielsen 1 e 2, dove la colonizzazione del moderno è partita prima che altrove. Qui la metà del patrimonio  risale comunque al 2000 e ha sulle spalle una dozzina di anni.  Pochi per un condominio, ma troppi per un immobile commerciale, settore dove la vecchiaia costa: mancate vendite, consumi energetici più elevati, e, quando il titolare dell’immobile non è la catena stessa, una flessione degli affitti del 20-30%.

Le dichiarazioni raccolte  empiricamente - ma pur sempre in veste di giornalisti specializzati nel trade - presso distributori che hanno avviato una fase di drastico rinnovo parlano addirittura di scontrini in aumento del 70-80% nei primi mesi dopo la ristrutturazione. Evidentemente poi l’effetto novità si esaurisce, ma una larga parte delle clientela acquisita si fidelizza e rimane.