Prosegue, con una puntata dedicata ad Australia, Brasile, Polonia e Russia, la mappatura di Assocamerestero sull’italian sounding, iniziata nel 2016 dall’area Usa, Canada e Messico. Lo studio, però, offre anche un'interessante, quanto preoccupante, spaccato dei flussi agroalimentari verso Mosca.

Seicento imitatori

Questa volta sono oltre 600 i prodotti che richiamano, in modo più o meno sornione il nostro Paese, rilevati dalle 7 Camere di commercio di Melbourne, Sydney, Belo Horizonte, Rio de Janeiro, San Paolo, Varsavia e Mosca.

La categoria più colpita dal fenomeno è quella dei lattiero-caseari che, nel 23,6% dei casi evocano l’autentico made in Italy. A seguire la pasta, con una quota del 22,8%, dal base carne (16,3%) e dalle bevande (13,6 per cento). Nel beverage a tenere banco, con l’11,5 di quota, sono soprattutto il vino e gli spumanti.

La bilancia con Mosca

Allarmanti, alla luce dei tragici eventi bellici, sono i dati degli scambi con la Russia, ovviamente riferiti al vero made in Italy: “Per quanto riguarda questo Paese – si legge – va detto che nell’agroalimentare rappresentava l’8,3% dell’export italiano. Nel periodo gennaio-novembre 2021, il comparto ha fatto registrare buoni risultati, con un incremento delle vendite del 15,2% su base annua.

"Questi risultati appaiono ancora più significativi se si tiene conto che le esportazioni agroalimentari made in Italy in Russia hanno perso 1,4 miliardi negli ultimi 7 anni a causa dell’embargo deciso da Putin nel 2014. Sono soprattutto le bevande italiane a conquistare il mercato russo, con una quota del 33,1% sull’export agroalimentare complessivo, pari in valore a 192,6 milioni di euro, seguite dai pasti e piatti pronti, condimenti, caffè ecc. (con una quota del 31%, pari in valore a 180,3 milioni di euro) e, a grande distanza, dai prodotti per l’alimentazione degli animali (10,8%; 62,5 milioni di euro)”.

I lattiero caseari 'suonano' di più

In Russia, nel 2021 i più imitati erano, come altrove, i lattiero-caseari (soprattutto mozzarella e Parmigiano reggiano), mentre le bevande occupavano la seconda posizione (28,6%), grazie a una presenza consistente di vini e spumanti riconducibili ai più noti marchi italiani (per esempio Moscato e Lambrusco).

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