di Luca Salomone

È iniziata la campagna di trasformazione del pomodoro 2023, anche quest’anno all’insegna delle difficoltà.

Le incognite sono sempre tante e lo scenario socio-economico rischia di incidere in maniera significativa sulla sostenibilità economica del settore. Da un lato la costante crescita dei costi di produzione, in particolare quelli della materia prima e degli imballaggi, dall’altro la contrazione dei consumi generata dalle tendenze inflattive, avranno certamente effetti molto negativi sulle marginalità delle imprese.

«Gli incrementi dei prezzi a scaffale degli ultimi mesi, nella maggior parte dei casi, non si sono tradotti in maggiori profitti e serviranno solo a coprire parzialmente i costi in continua crescita – commenta Marco Serafini, presidente di Anicav, che rappresenta i tre quarti dell’industria di trasformazione -. Penso in particolare al prezzo riconosciuto alla parte agricola per la materia prima, che ha visto aumenti fino al 40% rispetto allo scorso anno, portando il prezzo medio di riferimento del pomodoro tondo a 150 euro per tonnellata sia al nord che al sud. Una situazione non facile per le nostre aziende».

Per questa campagna, in Italia sono stati messi a coltura circa 68.600 ettari, con un incremento del 5% rispetto al 2022. Sulla base di questi dati e considerando le rese storiche, è possibile prevedere una produzione di circa 5,6 milioni di tonnellate, rispetto ai 6 milioni del 2021. Una contrazione dovuta in larga parte alle condizioni climatiche: siccità, in certe regioni e inondazioni in Emilia-Romagna, che è il principale distretto produttivo del Nord Italia.

«Sarà molto problematico, per non dire impossibile, recuperare i costi di produzione alle stelle. Tuttavia, nonostante gli aumenti, le conserve rosse continuano ad avere prezzi assolutamente accessibili anche grazie agli sforzi del comparto. Non è difficile rendersi conto di quanto costi preparare un piatto di pasta al pomodoro, rispetto a una colazione al bar», precisa Giovanni De Angelis, direttore generale dell’associazione.

Quella del pomodoro da industria rappresenta la più importante filiera italiana dell’ortofrutta trasformata e, con un fatturato complessivo (2022) di 4,4 miliardi di euro riveste un ruolo strategico e di traino dell’economia nazionale impiegando circa 10 mila lavoratori fissi e oltre 25.000 stagionali, cui si aggiunge la manodopera impegnata nell’indotto.

L’Italia, terzo trasformatore mondiale di pomodoro, dopo gli Usa e poco distante dalla Cina, resta il primo trasformatore di derivati destinati al consumo finale, polarizzando il 14,8% della produzione mondiale (pari a 37,3 milioni di tonnellate) e il 56,5% del trasformato europeo.