La Gdo non ha approfittato del Covid per alzare i prezzi. A dirlo è l’Agcm che, nel bollettino di ieri, lunedì 28 giugno 2021, ha riconosciuto che, per nessuna delle insegne indagate, sussistono elementi per ipotizzare violazioni dell’articolo 25 del Codice del consumo, comma 3, dove si parla di pratiche commerciali scorrette realizzate mediante lo “sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto”.

La pesantissima accusa ha innescato una vicenda che si è protratta per circa 16 mesi. Il tutto è cominciato nel periodo 17 febbraio-19 aprile 2020, quando i consumatori hanno segnalato all’Authority presunti rincari sia su prodotti alimentari di prima necessità, come farina, lievito, pane, latti per l’infanzia, uova, ortofrutta, sia su disinfettanti, saponi, guanti usa e getta, alcol… Questo in estrema sintesi, anche se le merci, oggetto di contestazione, variano da insegna a insegna.

A finire nel mirino, soggetti a preistruttoria, sono stati oltre una quarantina – contarli con precisione è impossibile - di punti vendita di Regina (gruppo Crai), Coal, Cedi Sigma Campania, Coop Centro Italia, Unicoop Tirreno, Margherita Distribuzione, Pam, Conad Nordovest, più alcuni associati a Pac2000A Conad.

Dopo le indagini e dopo avere sentito le aziende, l’Agcm ha constatato che presunti rincari si spiegano con l’aggiunta, nelle categorie, di nuovi prodotti, di nuovi formati, di formulazioni più potenti, mentre nulla è cambiato per i prodotti continuativi.

In altre parole, dice l’Antitrust, a comportare la percezione dei rialzi è stata la diversa composizione del mix di offerta. Contro i provvedimenti è ammesso ricorso al Tar entro 60 giorni dalla data di comunicazione.