Brutto colpo per le caraffe filtranti andate per la maggiore nei mesi scorsi perché ritenute un buon metodo per purificare l’acqua del rubinetto risparmiando sulla spesa per la minerale. In seguito all’esposto presentato a febbraio da Mineracqua, l’associazione degli imbottigliatori che fa capo a Confindustria, il consulente della Procura di Torino Ivo Pavan, docente universitario, ha depositato il suo parere dichiarando che l’acqua filtrata da tre caraffe prese in esame (quelle citate nell’esposto e cioè la tedesca Brita, leader del settore, quella di Auchan prodotta da Laica e quella della Coop a marchio Viviverde di cui la stessa Brita è fornitore) pur promettendo di eliminare sostanze nocive come calcare, metalli e cloro possono rendere l’acqua "non più potabile" e "depauperata di elementi nutritivi" arricchendola talvolta di sodio.

La denuncia di Mineracqua, finita sul tavolo del procuratore Raffaele Guariniello, tirava in ballo anche problemi legati alla pulizia, all’igiene della caraffa e sullo smaltimento dei filtri. Il punto critico riscontrato dalla perizia chiesta dal Tribunale riguarderebbe in particolare la durezza dell’acqua utilizzata, cioè il contenuto di calcio e magnesio che dopo il passaggio attraverso il filtro si abbasserebbe eccessivamente fino ad azzerarsi.

Le caraffe in questione andrebbero quindi usate con acque a durezza non inferiore ai 19 gradi “francesi” altrimenti si perderebbero tutti i sali minerali. Dalle analisi risulta anche che al posto di calcio e magnesio finiscono nell’acqua sodio e potassio con valori superiori ai limiti diventando pericolose per chi soffre di certi disturbi.

Brita, che da 45 anni produce solo caraffe filtranti (ne ha vendute 300 milioni nel mondo), sostiene di avere le certificazioni dei ministeri della salute tedesco e austriaco e che i filtri sono “omologati” dagli enti certificatori Tuv e Tifq: non riducono il calcio, ad esempio, ma il carbonato di calcio che è calcare ed eliminano sostanze nocive come piombo, rame ed erbicidi.