Amazon: ventisette private label di meno
Amazon: ventisette private label di meno
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di Luca Salomone
Amazon taglia le private label: sebbene il colosso di Seattle abbia infatti detto più volte che i prodotti a marchio proprio non sono certo uno dei suoi core business, la loro ingente presenza numerica non piace alla Federal trade commission, l’antitrust americana.
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Quindi il gruppo passerà da 30 a soli tre brand, conservando comunque il magico tris delle sue linee principali: Amazon essentials (abbigliamento), Amazon basics (non alimentare in genere e, in particolare, elettronica, ferramenta, casalinghi, valigeria) e Amazon collection (bigiotteria e gioielleria).
Il gruppo, del resto, valuta che l’incidenza sul fatturato delle proprie Mdd sia di appena l’1%, dunque non tale da contrastare le vendite dei fornitori del marketplace e oppone, alla preoccupazioni dell’Ftc il fatto che esse rispondono comunque al bisogno di soddisfare le aspettative di molti consumatori.
Fatto sta che Amazon, con le Mdd, opera, come accennato, in moltissimi settori, sebbene non certo in posizione dominante: dall’elettronica, all’abbigliamento, dai prodotti parafarmaceutici, ai piccoli accessori auto, dalle pile (ricaricabili e non), ai prodotti in carta usa e getta, dai cereali per prima colazione alle lamette da barba…
Nell’ormai lontano 2020 il Wall street journal, lo stesso che ha annunciato il taglio, valutava che il totale delle referenze ammontasse a 243 mila. Abbastanza da fare paura alle aziende che operano sulla piattaforma.
La domanda però è un’altra: in che misura un’authority ha diritto di intromettersi nelle strategie commerciali di un retailer che, attraverso i propri prodotti assicura convenienza e spesso 7 giorni di prova? E ancora: a quelle stesse private label non lavorano, forse, molte aziende fornitrici?
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