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Il caseario italiano frenato dal protezionismo

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Il caseario italiano frenato dal protezionismo

Il caseario italiano frenato dal protezionismo

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Redazione
Nel 2010 l’export italiano verso il paese nordamericano è aumentato del 3% circa, arrivando a un valore di 810 milioni di dollari canadesi (pari a oltre 586 milioni di euro). Oltre a vini, pasta e olio d’oliva, anche i formaggi stanno guadagnando spazio sulla tavola canadese e nel corso del 2010 hanno messo a segno crescite di due cifre: +22,1% a volume e +18,4% a valore, secondo le elaborazioni di Assolatte su dati Istat.  L’Italia è il terzo esportatore di prodotti caseari in Canada, dopo Stati Uniti e Francia, con oltre 52 milioni di dollari canadesi fatturati nel 2010 (pari a più di 38 milioni di euro). Ma è anche il secondo esportatore in quantità con volumi che nel 2010 hanno superato i 4,3 milioni di kg.

Grana Padano, Parmigiano-Reggiano, Pecorino Romano, Provolone e formaggi freschi, tra cui la mozzarella, sono le eccellenze casearie italiane più vendute in Canada e da soli rappresentano il 90% del totale a valore. Li si trova in vendita soprattutto presso i negozi specializzati e nei gourmet store, mentre l’assortimento nella distribuzione moderna è più limitato perché i gruppi distributivi avvantaggiano i formaggi locali.

Ma non c’è solo la forte concorrenza dei produttori locali, situati soprattutto nel Québec, a penalizzare l’espansione delle vendite dei formaggi italiani, che prosegue da almeno un decennio. L’impatto maggiore è quello provocato dalle misure di protezionismo che favoriscono la produzione lattiero-casearia canadese limitando le possibilità di espansione dei nostri prodotti. Infatti il Canada è uno dei mercati più inespugnabili: il regime delle quote, istituito negli anni ’70 per rispondere alle richieste dei produttori locali, prevede la concessione di permessi annuali d’importazione per quantità fisse. Ai paesi della UE è stato riservato il 66% del contingente tariffario di tutti i prodotti lattiero-caseari. Superare questa soglia è anti-economico, visti gli elevati dazi che si è obbligati a pagare. Così, di fatto, il regime delle quote impedisce di soddisfare la domanda in forte crescita espressa dai consumatori canadesi.
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