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Passato, presente e futuro del bricolage
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Passato, presente e futuro del bricolage
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Self, una delle prime insegne che negli anni Ottanta hanno iniziato a percorrere la strada della distribuzione moderna di prodotti per il bricolage, nel 2007 ha aperto il suo ventesimo punto vendita ad Alba, in provincia di Cuneo. Per avere un quadro completo dell'evoluzione del bricolage e del consumatore italiano e individuare i possibili scenari futuri del settore abbiamo intervistato Andrea Favati, direttore generale di Self.
Vogliamo approfittare della sua esperienza per fare un tuffo nel passato e capire quanto il bricolage italiano è cambiato negli anni. La prima apertura di un punto vendita Self risale al 1984, come era la situazione del settore in quel periodo?
Quando si è iniziato, oltre 20 anni fa, a realizzare i primi centri di fai da te, lo scenario in cui si ponevano era profondamente diverso dall'attuale. Il primo problema era decodificare, non solo il marchio, ma soprattutto il concetto di bricolage. Si trattava di trasferire al nostro cliente il senso della missione aziendale, cioè quali contenuti avevano i nostri negozi, a quali esigenze del consumatore volevamo dare una risposta e quali servizi eravamo in grado di offrire. Il consumatore sapeva con certezza che cosa poteva trovare in un supermercato e così all'apertura di una Standa o di un Upim, era consapevole di quale assortimento, di quali prodotti, poteva ricercare in quei punti vendita. Quale fosse invece la funzione di un negozio di fai da te, di che cosa potesse approvvigionarsi, era invece per il consumatore un fatto da scoprire. Il mercato andava allora canalizzato verso questa nuova forma distributiva, il nostro primo obbiettivo era farlo entrare in un negozio di fai da te perché cambiasse la sua percezione. "E' una grande ferramenta" oppure "è un grande colorificio": queste erano le risposte più comuni che abbiamo ricevuto nelle nostre ricerche di mercato prima dell'apertura di un Self. Quindi era importante incuriosirlo, fargli prendere contatto con questa realtà nuova, portarlo dentro il punto vendita, mostrargli l'offerta merceologica, per comunicare che in quel negozio, poteva trovare tutto quello che serviva per la manutenzione della sua casa e del suo giardino.
Mi sembra che in termini di contatto tra la nuova formula distributiva - moderna e a libero servizio - e i consumatori - abituati alla tradizionale ferramenta o colorificio - i risultati siano stati abbastanza rapidi. Forse meno veloce è stata la penetrazione del bricolage in quanto pratica del tempo libero a favore della propria casa e del proprio giardino, non crede?
Certo, dopo il primo passo, cioè quello di averlo fatto incontrare con i prodotti, era necessario superare il secondo e forse più grande ostacolo, cioè quello a cui lei stava alludendo: avvicinarlo all'attività del fai da te, cioè farlo diventare un bricoleur. Le difficoltà da superare sono state essenzialmente due: una psicologica e una tecnica. Per vincere la prima è stato essenziale riuscire a far superare l'obiezione che chi fa da sé è un individuo che non può permettersi l'utilizzo di un artigiano. Si è trattato cioè di far superare la vergogna di dire che questo lavoro l'ho fatto da me, trasformandolo nell'orgoglio di presentarsi come protagonista. La seconda difficoltà, quella di ordine tecnico, ha comportato un grande lavoro orientato a tranquillizzare coloro che si avvicinavano a questo canale distributivo sul fatto che era possibile, anzi facile far da sé.
Negli anni Ottanta la nascente grande distribuzione specializzata del bricolage, oltre a dover conquistare la fiducia dei consumatori, ha dovuto superare non poche difficoltà anche con le aziende del settore, piuttosto diffidenti rispetto alla reale affermazione della nuova formula distributiva. Quali sono state in questo senso le difficoltà maggiori?
Le grandi aziende con esperienza internazionale si avvicinavano a questo mercato, ma con sufficienza. Infatti i loro referenti in Italia, fatta eccezione per i pochi lungimiranti, erano rivolti al mercato delle piccole realtà commerciali, gli altri fornitori nella stragrande maggioranza non erano a conoscenza dei bisogni della gds. Tra tutte le difficoltà che bisognava superare nel rapporto con i fornitori, ne cito solo tre: il codice a barre era una cosa sconosciuta, i nostri addetti dovevano codificare quasi tutti i prodotti nei nostri punti vendita; la richiesta di centri di assistenza lasciava il nostro interlocutore basito; e infine tempi di consegna, la percentuale di servizio e la didattica sul prodotto erano tutti elementi da organizzare.
Da allora sono trascorsi oltre 20 anni, durante i quali ci sono state trasformazioni in termini di proposta commerciale. Il mercato, il consumatore e anche le aziende del settore sono cresciute. Secondo lei quali sono stati gli elementi concreti portati dalle strategie di Self che hanno contributo a questa crescita?
Self è stato il primo a intuire la fondamentale necessità di dialogare con il mondo femminile, e quindi a scegliere un modo di proporsi friendly, colorato, e a proporre in questo modo i prodotti. Per primi abbiamo inserito nell'assortimento lampadari, cucine e ci siamo rivolti al mercato della decorazione: coerentemente abbiamo diviso il nostro layout e contemporaneamente la nostra struttura aziendale fra un'area tecnica e un'area decorativa, creando per queste famiglie di prodotto dei veri e propri negozi nel negozio. Siamo stati i primi a proporre i reparti autoaccessori e animaleria oltre a enfatizzare alcuni servizi come la bordatura, le cornici su misura, la consegna e montaggio a domicilio.
Oggi è cambiato così il modo di realizzare il fai da te perché è cambiato il consumatore, che avanza nuove richieste e che prospetta delle nuove esigenze. In sintesi, in questi 20 anni abbiamo accompagnato la stragrande maggioranza dei nostri clienti a muovere i primi passi nel fai da te, li abbiamo convinti che era possibile, anzi facile, far da sé e che non era sminuente ma era gratificante poter dire "l'ho fatto io". Questo lavoro con l'aiuto dei media, in unisono con le catene di fai da te e in collaborazione con i fornitori, ha fatto crescere un mercato che è arrivato a essere il quarto per dimensione nel comparto non food, e per il quale si può stimare un'ulteriore sviluppo.
Veniamo ora al presente: possiamo tracciare un profilo del consumatore moderno?
Il mercato è significatamene cresciuto, la spesa media pro-capite durante questo periodo per comparto merceologico si è quintuplicata. Analizzando i dati più recenti ricavati dalle ricerche di mercato commissionate dalla nostra azienda, credo che emergano dei significativi elementi. Le donne si sono trasformate in clienti abituali del fai da te, arrivando a superare stabilmente il terzo dei nostri acquirenti, ma sono protagoniste nel definire il 50% del valore degli acquisti. Il 45% dei clienti visita un negozio di fai da te 2-3 volte al mese e un altro 20% almeno una volta al mese.
Questi dati evidenziano come ormai ci sia stato un netto cambiamento, il fai da te è divenuta un'attività normale, i negozi di fai da te sono oggi una risposta a una precisa esigenza dei consumatori. Un altro elemento che segnala un forte cambiamento è la spinta all'atto d'acquisto, che ieri era prevalentemente di necessità, mentre oggi vede una significativa modificazione, infatti la necessità scende a meno del 50%, mentre salgono al 30% gli acquisti fatti per abbellimento della casa e al 20% quelli spinti da un hobby e passatempo. Non installo una mensola ma arredo, non tingo ma decoro, non lavoro ma mi realizzo, non fatico ma mi diverto. E' significativo e vero simbolo del cambiamento, che ormai il 50% dei consumi del fai da te sia prodotto dalla soddisfazione di un proprio piacere, dalla autogratificazione. Venti anni fa gli acquisti erano un sintomo di razionalità economica, oggi le cose sono sostanzialmente cambiate, le scelte del consumatore sono sempre più orientate all'acquisto dei desideri. Il consumo viene considerato un mezzo con cui si conferma il proprio status e si definisce il proprio stile di vita.
Dopo aver parlato del consumatore del passato e del presente, possiamo dare uno sguardo anche al consumatore del futuro?
Oggi l'acquisto di un bene è lo strumento con cui si comunica, o si compensa, il proprio senso d’identità, si veicola all'esterno la propria passionalità, il proprio gruppo di appartenenza, e gli oggetti si caricano di valenze simboliche, emotive, per ciò che trasmettono. In un momento di incertezza, sui valori comuni, i nostri acquisti ci rassicurano, ci appagano. Oggi, l'individuo consumatore, che diventa sempre più maturo e consapevole, comincia a non aspirare più a imitare gli strati più abbienti, in quanto non più considerati modelli di riferimento, ma acculturandosi, subisce di meno il valore del prestigio, per aspirare a contornarsi di prodotti che migliorino la sua qualità di vita.
Detto questo credo che il consumatore del futuro sarà sempre più patchwork, più maturo e competente, diventando anche eclettico e portatore di istanze innovative. Ed ecco che emergono, nuove esigenze etiche, per esempio gli articoli realizzati senza l'ausilio di manodopera infantile, o quelli prodotti senza elementi nocivi per l'uomo e per l'ambiente. Se è in questa direzione che va il consumatore, il punto di vendita del bricolage nel futuro dovrà prendere atto che il binomio prezzo/prodotto è superato, che il rapporto prodotto-soluzione è ancora attuale e che quindi si dovrà soddisfare sempre di più l'esigenza di una didattica, che anch'essa si dovrà trasformare, perché come è impostata oggi risulta essere un elemento indispensabile, ma non più sufficiente. Occorrerà rispondere alla ricerca del consumatore sempre più proteso verso esperienze gratificanti e coinvolgenti, con la creazione di spazi ambientati, stimolanti, che trasmettono idee, suggerimenti e sensazioni.
Emozionare, sarà una leva del successo, con luci, colori, suoni, che armonizzino l'offerta e questo perché il consumatore vuole esaudire con l'acquisto le proprie preferenze emozionali ed edonistiche, oltre che razionali e funzionali. Informare, sarà l'ulteriore elemento da esaltare perché il consumatore sarà sempre più alla ricerca di notizie che gli permettono di fare scelte consapevoli, nelle quali trasferire e trasmettere tutta la sua variegata ricchezza culturale e psicologica. Occorrerà quindi in questi punti vendita coniugare l'aspetto emozionale con quello utilitaristico, che si manifesti in un approccio sempre più amichevole verso il consumatore, con la comunicazione di una convenienza che si manifesti non in un valore assoluto, ma all'interno di un rapporto, di un processo, cioè che sia sorretta da una spiegazione e con la presentazione di valori che vanno condivisi con i clienti. Ciò comporta una diffusione in tutte le funzioni aziendali di questo atteggiamento mentale.
In termini strutturali, relativamente ai punti vendita, quali saranno gli assetti che ci dobbiamo aspettare da uno sviluppo del mercato come quello che ci ha descritto?
Credo che nel mercato troveranno spazio quattro tipi di proposte che dovranno essere sempre meglio caratterizzate. Esisteranno certamente i negozi di quartiere (con meno di 1.500 mq), concentrati su articoli di consumo e decorazione con il plus di una forte umanizzazione nel rapporto con i clienti e una specifica tendenza al servizio e negozi di medie dimensioni (2.500-3.500 mq), dove sarà necessario fare scelte di minimo standard espositivo unite alla scelta di caratterizzare questi centri con la presenza di alcuni bastioni merceologici, cioè di reparti significatamene ampi e profondi, nei quali l'unità vorrà essere riconosciuta come punto di riferimento. Per queste due tipologie di negozi la vera sfida sarà un’attenta costruzione dei facing per ottenere un’ottima leggibilità dell'offerta e la possibilità di presentare comunque un numero di referenze tali da avere sufficiente profondità e ampiezza in ogni offerta, per competere con i fai da te maxi .
Nei maxi negozi vi sarà la massima espressione di assortimento, con la presenza anche di ampi assortimenti nei settori duri, quali edilizia, costruzioni, ecc. In questa categoria di maxi negozi vedo il profilarsi di una specializzazione molto netta fra i negozi hard, tipo home depot e gli altri tesi alla decorazione.
In questo quadro come si collocherà Self? E oltre al punto vendita fisico possiamo dire qualche parola su quello virtuale costituito dall'e-commerce, tendenza che anche questa volta vi vede tra i precursori?
Nel prossimo futuro Self ha intenzione di aprire una media di tre unità distributive ogni anno e già nel 2008 svilupperà delle unità di grandi superfici, in cui esprimerà sperimentalmente un assortimento nel settore edile e delle costruzioni e serramenti. Per quanto riguardo l'e-commerce devo dire che la nostra azienda ha iniziato da quattro anni a proporsi con un sito nel quale mostriamo gli articoli presenti sul volantino mensile. Il risultato di vendita è ancora modesto, ma è conseguente al nostro non investimento.
Vogliamo approfittare della sua esperienza per fare un tuffo nel passato e capire quanto il bricolage italiano è cambiato negli anni. La prima apertura di un punto vendita Self risale al 1984, come era la situazione del settore in quel periodo?
Quando si è iniziato, oltre 20 anni fa, a realizzare i primi centri di fai da te, lo scenario in cui si ponevano era profondamente diverso dall'attuale. Il primo problema era decodificare, non solo il marchio, ma soprattutto il concetto di bricolage. Si trattava di trasferire al nostro cliente il senso della missione aziendale, cioè quali contenuti avevano i nostri negozi, a quali esigenze del consumatore volevamo dare una risposta e quali servizi eravamo in grado di offrire. Il consumatore sapeva con certezza che cosa poteva trovare in un supermercato e così all'apertura di una Standa o di un Upim, era consapevole di quale assortimento, di quali prodotti, poteva ricercare in quei punti vendita. Quale fosse invece la funzione di un negozio di fai da te, di che cosa potesse approvvigionarsi, era invece per il consumatore un fatto da scoprire. Il mercato andava allora canalizzato verso questa nuova forma distributiva, il nostro primo obbiettivo era farlo entrare in un negozio di fai da te perché cambiasse la sua percezione. "E' una grande ferramenta" oppure "è un grande colorificio": queste erano le risposte più comuni che abbiamo ricevuto nelle nostre ricerche di mercato prima dell'apertura di un Self. Quindi era importante incuriosirlo, fargli prendere contatto con questa realtà nuova, portarlo dentro il punto vendita, mostrargli l'offerta merceologica, per comunicare che in quel negozio, poteva trovare tutto quello che serviva per la manutenzione della sua casa e del suo giardino.
Mi sembra che in termini di contatto tra la nuova formula distributiva - moderna e a libero servizio - e i consumatori - abituati alla tradizionale ferramenta o colorificio - i risultati siano stati abbastanza rapidi. Forse meno veloce è stata la penetrazione del bricolage in quanto pratica del tempo libero a favore della propria casa e del proprio giardino, non crede?
Certo, dopo il primo passo, cioè quello di averlo fatto incontrare con i prodotti, era necessario superare il secondo e forse più grande ostacolo, cioè quello a cui lei stava alludendo: avvicinarlo all'attività del fai da te, cioè farlo diventare un bricoleur. Le difficoltà da superare sono state essenzialmente due: una psicologica e una tecnica. Per vincere la prima è stato essenziale riuscire a far superare l'obiezione che chi fa da sé è un individuo che non può permettersi l'utilizzo di un artigiano. Si è trattato cioè di far superare la vergogna di dire che questo lavoro l'ho fatto da me, trasformandolo nell'orgoglio di presentarsi come protagonista. La seconda difficoltà, quella di ordine tecnico, ha comportato un grande lavoro orientato a tranquillizzare coloro che si avvicinavano a questo canale distributivo sul fatto che era possibile, anzi facile far da sé.
Negli anni Ottanta la nascente grande distribuzione specializzata del bricolage, oltre a dover conquistare la fiducia dei consumatori, ha dovuto superare non poche difficoltà anche con le aziende del settore, piuttosto diffidenti rispetto alla reale affermazione della nuova formula distributiva. Quali sono state in questo senso le difficoltà maggiori?
Le grandi aziende con esperienza internazionale si avvicinavano a questo mercato, ma con sufficienza. Infatti i loro referenti in Italia, fatta eccezione per i pochi lungimiranti, erano rivolti al mercato delle piccole realtà commerciali, gli altri fornitori nella stragrande maggioranza non erano a conoscenza dei bisogni della gds. Tra tutte le difficoltà che bisognava superare nel rapporto con i fornitori, ne cito solo tre: il codice a barre era una cosa sconosciuta, i nostri addetti dovevano codificare quasi tutti i prodotti nei nostri punti vendita; la richiesta di centri di assistenza lasciava il nostro interlocutore basito; e infine tempi di consegna, la percentuale di servizio e la didattica sul prodotto erano tutti elementi da organizzare.
Da allora sono trascorsi oltre 20 anni, durante i quali ci sono state trasformazioni in termini di proposta commerciale. Il mercato, il consumatore e anche le aziende del settore sono cresciute. Secondo lei quali sono stati gli elementi concreti portati dalle strategie di Self che hanno contributo a questa crescita?
Self è stato il primo a intuire la fondamentale necessità di dialogare con il mondo femminile, e quindi a scegliere un modo di proporsi friendly, colorato, e a proporre in questo modo i prodotti. Per primi abbiamo inserito nell'assortimento lampadari, cucine e ci siamo rivolti al mercato della decorazione: coerentemente abbiamo diviso il nostro layout e contemporaneamente la nostra struttura aziendale fra un'area tecnica e un'area decorativa, creando per queste famiglie di prodotto dei veri e propri negozi nel negozio. Siamo stati i primi a proporre i reparti autoaccessori e animaleria oltre a enfatizzare alcuni servizi come la bordatura, le cornici su misura, la consegna e montaggio a domicilio.
Oggi è cambiato così il modo di realizzare il fai da te perché è cambiato il consumatore, che avanza nuove richieste e che prospetta delle nuove esigenze. In sintesi, in questi 20 anni abbiamo accompagnato la stragrande maggioranza dei nostri clienti a muovere i primi passi nel fai da te, li abbiamo convinti che era possibile, anzi facile, far da sé e che non era sminuente ma era gratificante poter dire "l'ho fatto io". Questo lavoro con l'aiuto dei media, in unisono con le catene di fai da te e in collaborazione con i fornitori, ha fatto crescere un mercato che è arrivato a essere il quarto per dimensione nel comparto non food, e per il quale si può stimare un'ulteriore sviluppo.
Veniamo ora al presente: possiamo tracciare un profilo del consumatore moderno?
Il mercato è significatamene cresciuto, la spesa media pro-capite durante questo periodo per comparto merceologico si è quintuplicata. Analizzando i dati più recenti ricavati dalle ricerche di mercato commissionate dalla nostra azienda, credo che emergano dei significativi elementi. Le donne si sono trasformate in clienti abituali del fai da te, arrivando a superare stabilmente il terzo dei nostri acquirenti, ma sono protagoniste nel definire il 50% del valore degli acquisti. Il 45% dei clienti visita un negozio di fai da te 2-3 volte al mese e un altro 20% almeno una volta al mese.
Questi dati evidenziano come ormai ci sia stato un netto cambiamento, il fai da te è divenuta un'attività normale, i negozi di fai da te sono oggi una risposta a una precisa esigenza dei consumatori. Un altro elemento che segnala un forte cambiamento è la spinta all'atto d'acquisto, che ieri era prevalentemente di necessità, mentre oggi vede una significativa modificazione, infatti la necessità scende a meno del 50%, mentre salgono al 30% gli acquisti fatti per abbellimento della casa e al 20% quelli spinti da un hobby e passatempo. Non installo una mensola ma arredo, non tingo ma decoro, non lavoro ma mi realizzo, non fatico ma mi diverto. E' significativo e vero simbolo del cambiamento, che ormai il 50% dei consumi del fai da te sia prodotto dalla soddisfazione di un proprio piacere, dalla autogratificazione. Venti anni fa gli acquisti erano un sintomo di razionalità economica, oggi le cose sono sostanzialmente cambiate, le scelte del consumatore sono sempre più orientate all'acquisto dei desideri. Il consumo viene considerato un mezzo con cui si conferma il proprio status e si definisce il proprio stile di vita.
Dopo aver parlato del consumatore del passato e del presente, possiamo dare uno sguardo anche al consumatore del futuro?
Oggi l'acquisto di un bene è lo strumento con cui si comunica, o si compensa, il proprio senso d’identità, si veicola all'esterno la propria passionalità, il proprio gruppo di appartenenza, e gli oggetti si caricano di valenze simboliche, emotive, per ciò che trasmettono. In un momento di incertezza, sui valori comuni, i nostri acquisti ci rassicurano, ci appagano. Oggi, l'individuo consumatore, che diventa sempre più maturo e consapevole, comincia a non aspirare più a imitare gli strati più abbienti, in quanto non più considerati modelli di riferimento, ma acculturandosi, subisce di meno il valore del prestigio, per aspirare a contornarsi di prodotti che migliorino la sua qualità di vita.
Detto questo credo che il consumatore del futuro sarà sempre più patchwork, più maturo e competente, diventando anche eclettico e portatore di istanze innovative. Ed ecco che emergono, nuove esigenze etiche, per esempio gli articoli realizzati senza l'ausilio di manodopera infantile, o quelli prodotti senza elementi nocivi per l'uomo e per l'ambiente. Se è in questa direzione che va il consumatore, il punto di vendita del bricolage nel futuro dovrà prendere atto che il binomio prezzo/prodotto è superato, che il rapporto prodotto-soluzione è ancora attuale e che quindi si dovrà soddisfare sempre di più l'esigenza di una didattica, che anch'essa si dovrà trasformare, perché come è impostata oggi risulta essere un elemento indispensabile, ma non più sufficiente. Occorrerà rispondere alla ricerca del consumatore sempre più proteso verso esperienze gratificanti e coinvolgenti, con la creazione di spazi ambientati, stimolanti, che trasmettono idee, suggerimenti e sensazioni.
Emozionare, sarà una leva del successo, con luci, colori, suoni, che armonizzino l'offerta e questo perché il consumatore vuole esaudire con l'acquisto le proprie preferenze emozionali ed edonistiche, oltre che razionali e funzionali. Informare, sarà l'ulteriore elemento da esaltare perché il consumatore sarà sempre più alla ricerca di notizie che gli permettono di fare scelte consapevoli, nelle quali trasferire e trasmettere tutta la sua variegata ricchezza culturale e psicologica. Occorrerà quindi in questi punti vendita coniugare l'aspetto emozionale con quello utilitaristico, che si manifesti in un approccio sempre più amichevole verso il consumatore, con la comunicazione di una convenienza che si manifesti non in un valore assoluto, ma all'interno di un rapporto, di un processo, cioè che sia sorretta da una spiegazione e con la presentazione di valori che vanno condivisi con i clienti. Ciò comporta una diffusione in tutte le funzioni aziendali di questo atteggiamento mentale.
In termini strutturali, relativamente ai punti vendita, quali saranno gli assetti che ci dobbiamo aspettare da uno sviluppo del mercato come quello che ci ha descritto?
Credo che nel mercato troveranno spazio quattro tipi di proposte che dovranno essere sempre meglio caratterizzate. Esisteranno certamente i negozi di quartiere (con meno di 1.500 mq), concentrati su articoli di consumo e decorazione con il plus di una forte umanizzazione nel rapporto con i clienti e una specifica tendenza al servizio e negozi di medie dimensioni (2.500-3.500 mq), dove sarà necessario fare scelte di minimo standard espositivo unite alla scelta di caratterizzare questi centri con la presenza di alcuni bastioni merceologici, cioè di reparti significatamene ampi e profondi, nei quali l'unità vorrà essere riconosciuta come punto di riferimento. Per queste due tipologie di negozi la vera sfida sarà un’attenta costruzione dei facing per ottenere un’ottima leggibilità dell'offerta e la possibilità di presentare comunque un numero di referenze tali da avere sufficiente profondità e ampiezza in ogni offerta, per competere con i fai da te maxi .
Nei maxi negozi vi sarà la massima espressione di assortimento, con la presenza anche di ampi assortimenti nei settori duri, quali edilizia, costruzioni, ecc. In questa categoria di maxi negozi vedo il profilarsi di una specializzazione molto netta fra i negozi hard, tipo home depot e gli altri tesi alla decorazione.
In questo quadro come si collocherà Self? E oltre al punto vendita fisico possiamo dire qualche parola su quello virtuale costituito dall'e-commerce, tendenza che anche questa volta vi vede tra i precursori?
Nel prossimo futuro Self ha intenzione di aprire una media di tre unità distributive ogni anno e già nel 2008 svilupperà delle unità di grandi superfici, in cui esprimerà sperimentalmente un assortimento nel settore edile e delle costruzioni e serramenti. Per quanto riguardo l'e-commerce devo dire che la nostra azienda ha iniziato da quattro anni a proporsi con un sito nel quale mostriamo gli articoli presenti sul volantino mensile. Il risultato di vendita è ancora modesto, ma è conseguente al nostro non investimento.
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