Land of Fashion vanta 5 destinazioni di shopping per 150.000 mq complessivi, oltre 600 negozi e più di 17 milioni di visitatori annui. Da Nord a Sud della Penisola, collegati alle eccellenze dei territori italiani che li ospitano, troviamo Franciacorta di Rodengo Saiano (Bs), Mantova, Palmanova di Joannis di Aiello del Friuli (Ud), Val di Chiana di Foiano della Chiana (Ar), Puglia di Calderina Molfetta (Ba). Sono tutte location che diventano anche punto di partenza per itinerari turistici ed enogastronomici.
In questo senso è stato naturale varare una campagna d’incentivazione dedicata al trade. Alle agenzie di viaggi che organizzano un gruppo in una delle sue varie destinazioni, Land of Fashion riconosce le fee per supportare i costi di trasporto e offre ai partecipanti speciali vantaggi sugli acquisti. La Village Card, carta fedeltà che vale in tutte le strutture del circuito, offre sconti ulteriori e sarà consegnata a tutti i clienti delle agenzie stesse. A parlarci delle strategie è
Massimiliano Peron, Outlet management director di Momi (Multi outlet management Italy), società italiana di Multi, specializzata nella gestione degli outlet che ha in portfolio i 5 asset del brand Land of Fashion.

Cominciamo dal core business…

Al centro, con il 60% del fatturato, c’è l’abbigliamento, compresi accessori e calzature. Qui, a tenere banco, sono i prodotti per donna, anche se per l’uomo il look e lo shopping contano ormai molto. Più si è capaci di essere propositivi, specie nel femminile, più si ottengono buoni risultati. I marchi accessibili e di alta qualità, cito fra tutti Furla o Coccinelle, hanno una grande forza, ma stanno prendendo il volo quelle insegne che fanno della cura della persona un must. Anche qui c’è sviluppo, specie in direzione femminile, ma con ottimi riscontri sui prodotti maschili. La bellezza, fatta anche di moda e cosmesi, risponde al bisogno di darsi un aspetto piacevole sia per la propria autostima, sia per l’impatto sugli altri.

A quali classi sociali appartengono i visitatori?

L’outlet è trasversale, anche se poi ogni complesso commerciale è condizionato da fattori esterni, come il reddito medio del bacino di utenza e la vicinanza dei grandi nuclei urbani. È superfluo dire che gestori, sviluppatori, proprietari e tenant cercano sempre le aree più interessanti in termini di potere di acquisto. In tutti gli outlet si rilevano, in modo costante, abitudini particolari. I clienti alto spendenti, per esempio, prediligono il più delle volte i giorni lavorativi, per scegliere con calma e razionalità, quando l’outlet è scarsamente frequentato. Opportunità, credibilità e brand, fanno la differenza, anche quando mancano beni di extralusso.

Parliamo dello scontrino medio…

La spesa tipica in uno dei nostri outlet è, per quanto difficile da quantificare, sui 150 euro al netto della ristorazione, con grande variabilità a seconda della zona geografica e del periodo dell’anno. La stagione dei saldi e la vicinanza dei grandi nuclei urbani innalzano il paniere di spesa intorno ai 300 euro. Questo vale per il nostro gruppo, che ha scelto di non puntare verso marchi come Gucci e Prada, di fatto non raggiungibili per il vasto pubblico.

Quanto contano i periodi di saldo?

Parecchio, sia in estate, sia in inverno. In questi periodi si aggiunge ulteriore convenienza a una strategia di prezzo che comporta uno sconto medio del 30% circa. Quest’anno, in particolare, i saldi sono stati molto positivi, con una crescita delle vendite del 10,5%, dunque in controtendenza rispetto alle cifre degli altri distributori di tessile-abbigliamento. Aggiungo che, nei negozi dei nostri tenant, la stagione si è svolta all’insegna di una nuova capacità propositiva.

State pensando a un ingresso del fast fashion nella vostra offerta?

La fascia alta e medio alta sono decisive, ma non si può dire che il canale sia chiuso al pronto moda. Per entrare, il prêt-à-porter deve essere capace di creare una storia interessante intorno al marchio, con un assortimento mirato e, in qualche modo, unico. A questo punto resta da capire quanto i retailer che presidiano il segmento siano disposti, o in grado, di dimostrarsi flessibili. A mio avviso la maggior parte delle insegne non ha ancora trovato la formula giusta per proporsi al mondo outlet, anche se, probabilmente, è solo questione di tempo e strategia. Anche dal lato del cliente non esiste un’incompatibilità. I nostri visitatori si recano sia nei nostri outlet Land of Fashion, sia da Zara o H&M, tanto per citare due nomi fra i più conosciuti. Da parte nostra ospitiamo, con ottimi risultati, marchi come Alcott, che ha fatto del giusto rapporto fra prezzo e design la cifra distintiva. Rimane il fatto che l’outlet è un universo commerciale unico, diverso da tutti gli altri, e dunque ogni tenant deve adattarsi alle sue logiche per garantirsi vere opportunità.

Quanto è importante avere alle spalle Blackstone?

Fare parte di gruppo Blackstone è per noi una grande opportunità, visto che si tratta di un nome credibile e spendibile, che garantisce solidità e serietà nel rapporto con le varie insegne. Blackstone è garanzia di capitali e di rendimenti, ma anche di un forte orientamento allo sviluppo e alle novità. Così Franciacorta, il primo outlet acquisito dal gruppo Usa nel 2013, ha vissuto, in 5 anni, una stagione di crescita importante e lo stesso vale per Valdichiana, il secondo complesso rilevato. Questo non vuol dire che tali destinazioni non avessero, già prima, una forte credibilità, ma sicuramente un grande azionista fa la differenza sia in termini di management, che di risorse. I grandi marchi Usa, come Under Armour, presente nei due complessi citati, vedono in Blackstone un partner solido e, per giunta, di origine geografica comune.

Piani di sviluppo: cosa bolle in pentola?

In Land of Fashion ci siamo concentrati innanzitutto su Franciacorta, che sta vivendo l’ingresso di marchi importanti: Flavio Castellani, Cinzia Rocca, Momonì, Pal Zileri, Momonì, Philipp Plein Sport... Abbiamo aperto 12 negozi negli ultimi mesi e ne aspettiamo, prossimamente, altri 32. A Mantova ci sono invece due nuove ristorazioni che saranno combinate in solo concept, in una ‘orangerie’, a partire da dicembre. In proposito devo dire che la ristorazione è sempre più importante e dunque stiamo puntano soprattutto sulla qualità, con insegne che fanno di questo elemento un asset. Mi riferisco, tanto per fare alcuni nomi, a Venchi, Caffè Vergnano 1882, Lindt Maître Chocolatier, Bacio di Latte a Molfetta in Puglia e Antica Focacceria San Francesco in Franciacorta, una novità nella nostra offerta. Più del centro commerciale l’outlet, che ha tempi di visita lunghi, deve salire verso l’alto sia nell’offerta, sia nel servizio oltre che, naturalmente, nella capacità di accogliere il cliente.

Che incidenza hanno il cibo e l’intrattenimento?

Mediamente per noi la ristorazione, gli eventi e il divertimento - ricordo che in Puglia abbiamo un multiplex Uci con 12 sale - hanno un peso del 12% circa, un dato composto quasi solo dal food e superiore a quello degli shopping center, fatta eccezione per i grandi mall di tipo prime che hanno, evidentemente, tempi di visita commisurati alla propria importanza. Aggiungo che ormai una parte dei clienti sceglie l’outlet anche in funzione della proposta ristorativa. In 5 anni abbiamo sperimentato molto e raggiunto un livello soddisfacente, che però rimane una tappa e non il traguardo.

Un’offerta sempre più incisiva, per competere con le high street…

La concorrenza fra outlet high street è in crescita, in quanto le grandi vie commerciali stanno ritrovando una parte del proprio potenziale. Ci sono centri storici più vivaci e nuove iniziative immobiliari e distributive. Se è vero che, per noi, le vie dello shopping sono il competitor principale, è altrettanto vero che la concorrenza dà libertà all’outlet di esplicitare tutti i suoi punti di forza, come la convenienza, l’ampio assortimento, l’integrazione con food court complete e anch’esse concorrenziali. Inoltre i due poli della moda, il grande complesso da un lato, e la via commerciale dall’altro, non necessariamente vanno in sostituzione, soddisfacendo logiche e momenti di acquisto differenti. Pur in un regime competitivo c’è dunque una complementarità sia di orario, sia di prezzo.

Ha parlato di momenti di acquisto, un tasto dolente visti gli ultimi orientamenti del legislatore…

Le possibili giornate di chiusura saranno un grave problema, specie perché l’outlet, diversamente dagli altri segmenti della moderna distribuzione, nasce anche in funzione del week end, come meta di acquisti e svago. Il fine settimana rappresenta un 30% del fatturato, con la domenica che fa la parte del leone. Non solo: intorno a qualsiasi grande complesso commerciale ruota un indotto, che comprende i fornitori di merci e servizi, dalla sicurezza, alla pulizia e manutenzione. E questo per non parlare dei nostri lavoratori e di quelli dei tenant. Persino le navette di collegamento funzionano soprattutto nei festivi. Almeno per il nostro settore non è vero che le opportunità perse nei week end si possono poi recuperare in altri modi e momenti. Gli outlet non sono centri commerciali e non hanno un bacino di prossimità, ma un’area di utenza regionale. Dunque chi non passa la domenica da noi finisce per comprare altrove. Del resto è assurdo pensare che la Gdo sia una minaccia per la famiglia, invece che un servizio utile e uno dei possibili modi per stare insieme. La famiglia, se mai, si salva con opportune politiche sociali e di welfare e non certo limitando la libertà personale. I 17 milioni di clienti che frequentano ogni anno Land of Fashion sono alla ricerca di una buona convenienza e di un sano divertimento, elementi non certo disprezzabili. Inoltre siamo sicuramente un’opportunità lavorativa e gli oltre 600 store danno un posto a circa 5.000 addetti.

È vero che le domeniche di chiusura avvantaggeranno l’e-commerce?

Dipende dal settore. Nel tessile-abbigliamento il potenziale del commercio elettronico, in termini di quote, è forte. Lo dimostrano le statistiche, ma anche il buon senso. Chi desidera un capo di moda può benissimo attenderne la consegna a domicilio, mentre chi fa la spesa alimentare ha, nella maggior parte dei casi, una necessità immediata alla quale l’e-commerce, fatte le debite eccezioni, non è in grado di rispondere. A dispetto dei grandi tassi di crescita l’online è, del resto, ancora un fenomeno marginale nel mondo del food & beverage.

L’online è un nemico?

Direi che è vero il contrario. Come Land of Fashion consideriamo questo canale una nuova opportunità, che però deve trovare il proprio posto all’interno di una strategia che rimane, per tutti i retailer, di tipo multicanale, visto che persino i pure player si stanno dotando di negozi fisici. Una parte del nostro management è al lavoro per capire come fare rientrare i nostri prodotti e le nostre insegne in un unico portale, creando evidentemente ulteriori occasioni di business. L’operazione è coerente con la facile fruibilità del canale e con la sua crescita, una crescita che però è dovuta quasi sempre alle generazioni fino ai 35-40 anni. Dunque una seria riflessione va fatta, ma con la debita calma.