Si dice e si scrive spesso che, a causa del Covid, niente tornerà come prima, specialmente nel retail e negli stili di acquisto. Ma cosa c’è di vero? Abbiamo girato l’ambizioso quesito a Daniela Ostidich, presidente e fondatrice di Marketing&Trade, consulente di marketing strategico di aziende di beni di largo consumo, prodotti industriali e insegne della distribuzione, esperta in design delle esperienze di acquisto.
Ostidich si occupa, dal 1989, di comportamenti e tendenze del mondo del consumo, collabora con numerose testate giornalistiche, editoriali e televisive, ha realizzato progetti di concept strategico e retail design in diversi mercati e settori, a partire dalla centralità dell’esperienza di fruizione degli spazi.
Il focus della sua attività è l’innovazione dei prodotti e delle formule distributive all’interno di una società in rapida e liquida evoluzione, che rende necessario giocare d’anticipo rispetto alle tendenze e ai sentimenti dei consumatori.

Secondo lei il Covid è più una cesura o un acceleratore?

Entrambe le cose. In certi casi l’emergenza sanitaria ha innescato fenomeni che, con la fine della pandemia, spariranno: pensiamo solo alle scorte, o agli acquisti massicci di ingredienti per la cucina domestica. Per altri versi la pandemia ha accelerato evoluzioni che erano già in atto. Fra queste la perdita di appeal degli ipermercati e dei centri commerciali, specie per la spesa alimentare. È evidente che, con le restrizioni alle aperture e agli spostamenti, l’appannamento di alcuni format retail ha subito un’accentuazione.

Perché ‘appannamento’?

Credo che, ormai da tempo, lo shopping alimentare fosse vissuto come un dovere, un’incombenza necessaria, per non dire una perdita di tempo. Le persone invece volevano e vogliono rapidità, praticità e comodità, là dove la comodità è anche una richiesta di assortimenti ‘risolutivi’, razionali ed efficaci. C’è un rifiuto di percorsi lunghi ed elaborati per fare la spesa. In tutto questo la consegna a domicilio, già prima del Covid, era un’ottima risposta, una strada praticata da una minoranza di consumatori, ma tale da soddisfare molte nuove esigenze.

E dopo?

Credo che il dopo, o l’ora, siano abbastanza noti. Quando le varie forme di acquisto a distanza - e-commerce, drive e, in casi estremi, ordine telefonico, o tramite WhatsApp - sono diventate anche un modo per affrontare le problematiche di distanziamento sociale, i canali ‘alternativi’ hanno guadagnato posizioni, posizioni che difficilmente perderanno in futuro.

Cosa dovrebbe fare il retail fisico?

Oggi più che mai l’esperienza di shopping è diventata cruciale e permette di salvaguardare l’affluenza nei punti di vendita, che sono il vero core business di qualsiasi distributore. Ma per costruire un’esperienza moderna e consona ai nuovi bisogni bisogna garantire, come dicevo, praticità e, almeno al momento, un numero di contatti il più ridotto possibile. Se è chiaro che ogni retailer deve avere anche un proprio e-commerce, è altrettanto chiaro che il negozio resta centrale. Ma per esserlo deve cambiare, rendendo i prodotti veramente attraenti, con un rinnovamento di molti layout, che, invece, risalgono ancora agli anni Settanta, e con un’organizzazione delle categorie che non obblighi mai il consumatore a una laboriosa ricerca dei prodotti sullo scaffale. Un equivoco molto comune è pensare che la profondità dell’assortimento sia funzionale a un numero maggiore di atti di acquisto. Penso invece che i distributori siano chiamati a creare veri percorsi di shopping, mettendo l’accento su quei prodotti che, in funzione di un certo contesto sociale, economico e geografico, sono, potenzialmente, i più ricercati dalla clientela. Il retailer deve avere il coraggio di suggerire e selezionare, anche tenendo conto di fattori contingenti come la stagionalità e le promozioni.

Possiamo dire che piccolo è bello?

Non necessariamente. Se è vero che, anche in termini di formati, la pandemia ha portato ancora di più alla ribalta, in forza delle leggi, il supermercato di prossimità, il criterio della selezione, del ‘percorso guidato’, ha ben poco a che vedere con le dimensioni e con la portata dell’assortimento. È sempre il distributore che deve avere il coraggio di fare una serie di scelte, di capire i bisogni e stabilire una gerarchia, lasciando al consumatore l’eventuale libertà di divagare, di scoprire, di esplorare lo scaffale. Ma divagare non può essere un obbligo, dovuto a un’offerta eccessiva o ridondante, che si vorrebbe fare passare come un pregio assoluto.

Pensa che, in un’ottica di razionalizzazione, il non alimentare sia da escludere?

Se si è razionali tutto può essere ‘salvato’, dunque anche il non food, escluso da tanti superstore e ipermercati, ma poi, in parte, recuperato. Però questo recupero deve essere concepito in un’ottica di complementarità con l’offerta alimentare. Intendo dire che in un reparto enoteca ha senso proporre bicchieri, sottobicchieri e altra oggettistica legata ai vini, come nel cura persona possono entrare le salviette o, nel cura casa, le lenzuola. Tuttavia, non sarà mai opportuno né conveniente, per le grandi superfici, fare concorrenza agli specialisti. Bisogna anche pensare che, in certi contesti, specie provinciali, dove i negozi sono pochi e l’ipermercato è ancora un punto di riferimento per una spesa completa, la soluzione può essere il mantenimento di un reparto casalinghi ben attrezzato o, meglio ancora, la creazione di shop in shop, o corner, gestiti da specialisti.

Ma la troppa razionalità non rischia di diventare un difetto?


Certamente e, infatti, chi compra online ha spesso l’impressione di fare un acquisto un po’ grigio e senza sorprese. Solo il punto vendita può assicurare sorprese e gratificazioni nel proprio percorso di acquisto e, per questo, i cosiddetti prodotti di impulso non devono essere esclusi: essi sono chiamati a soddisfare quella parte di clientela che, in un dato momento, ha voglia di esplorare, sperimentare, concedersi un regalo. Non è un equilibrio facile, visto che, tutto sommato, la marca è emozione e deve sempre trovare, nella distribuzione, un interlocutore sensibile e ricettivo. E infatti anche i discount, pur mettendo al centro il prezzo, non escludono mai prodotti capaci di gratificare e sorprendere.