Tempi duri per le aziende impegnate nel settore alimentare: i consumi faticano a crescere, il consumatore si è evoluto, la concorrenza è aumentata. In questo nuovo scenario, anche le grandi marche non possono più puntare tutto sulla fedeltà del pubblico, e si trovano costrette a adottare strategie più mirate, per conservare la propria posizione e la propria competitività.
Questo è il punto di partenza della ricerca condotta recentemente da McCann Erickson, agenzia pubblicitaria nata agli inizi del Novecento in America e dal 1959 presente anche in Italia. Il gruppo McCann ha voluto indagare a fondo l’attuale situazione del mercato alimentare e il suo legame con i cambiamenti sociali che si sono verificati negli ultimi anni. Tutto ciò grazie alla metodologia Pulse, da tempo adottata dall’agenzia, che permette di individuare i trend significativi e di capire quali marche si muovono meglio sul mercato. La redazione di DM ha chiesto a Stefano Rallo, responsabile del marketing strategico in McCann Erickson Italia, di chiarire e approfondire alcuni punti essenziali della ricerca, prevedendo gli sviluppi futuri del mercato italiano del food.

DM: Qual è il titolo della ricerca e da chi vi è stata commissionata?
SR: Innanzitutto la nostra agenzia ha un motto, che è “Truth well told”, ossia “La verità ben detta”. Ogni ricerca ha un filo conduttore, in questo caso è “Food well told” e il tema specifico di questa ricerca è “Food desire”, vale a dire la creazione del desiderio rispetto alle marche alimentari.
McCann Erickson è agenzia pubblicitaria e partner di comunicazione di molte importanti aziende, e in questo caso si tratta delle più grandi aziende alimentari che operano in Italia - ad esempio Barilla, Unilever, Nestlè e altre - che ci hanno commissionato l’indagine. Attraverso i nostri clienti possiamo così avere un punto di vista privilegiato sul mercato e sul suo andamento.

DM: Si è trattato di un’indagine condotta una tantum o si ripeterà in futuro, magari a scadenze regolari? E qual è stato il principale scopo della ricerca?
SR: È una ricerca che conduciamo tutti gli anni proprio per fornire ai nostri clienti gli strumenti necessari ad affrontare il mercato. Si tratta essenzialmente di uno studio approfondito sui trend del mercato alimentare, al fine di utilizzare i risultati emersi in fase di lavoro per la definizione di strategie adeguate ed efficaci.

DM: A proposito di mercato, qual è la specifica situazione italiana rispetto ai consumi, alle abitudini, alla concorrenza?
SR: Rispetto ai consumi, dai dati ufficiali emerge che, negli ultimi anni, le aziende che performano al meglio sono quelle che riescono a mantenere il proprio livello o a crescere di 1 o due 2 punti percentuali rispetto all’anno precedente. E questa crescita è considerata un buon successo.
Inoltre, in questa situazione, sono maggiormente a rischio quelle marche con prodotti che diventano sostituibili da altri o hanno un livello di innovazione che non riesce ad attrarre i consumi. Difatti la premessa strategica della ricerca, nonché l’obiettivo cui tende, è proprio la risposta alla domanda: “Come si può creare desiderio rispetto alle marche di food?”. Rispetto ad altri mercati- come la tecnologia e i servizi - nei quali il consumatore è stato e continua ad essere “provocato e attratto” con conseguente crescita di desiderio nei confronti delle marche, nel mercato alimentare si assiste ad una situazione quasi stagnante.

DM: Dunque, in questo scenario di mercato, su quali elementi possono puntare i brand per avere successo e arginare la diffusione e il successo delle private label?
SR: Oggi una marca forte deve superare la logica del bisogno più basso e diventare desiderio. Questo è l’unico modo per giustificare il suo valore, il suo premium e di conseguenza vincere l’unbranded.
Le marche non devono essere più semplicemente nutrizione o piacere, ma devono riuscire a creare attrazione e interazione basandosi su aspetti di innovazione, ma non solo.

DM: Quindi è cambiato il concetto stesso di cibo nella nostra società?
SR: Questo è il punto di partenza della ricerca: ci troviamo in una nuova fase di reazione nei confronti del cibo. Esso non è più basato su valori esclusivamente nutrizionali, ma è diventato lifestyle, instaurando una relazione molto personale, più individuale e intima con il consumatore. In pratica, ciò che mangio dà forma e contenuto alla mia persona.

DM: Difatti la ricerca individua delle tendenze che caratterizzano la società contemporanea. Le potrebbe chiarire?
SR: Abbiamo individuato 4 trend globali derivanti da mutazioni sociali ed economiche: aging – conseguente al forte aumento della speranza di vita -; virtualizzazione – la trasformazione in senso virtuale del quotidiano -; mobilità – dovuta al cambiamento della struttura familiare e alla flessibilità del lavoro - e quello che chiamiamo “feminization”, ossia il maggiore impegno delle donne nella società. A questi trend corrispondono esigenze del mercato e commerciali: vivere più a lungo per l’aging; la verità dell’esperienza per la virtualizzazione; avere un proprio stile di vita originale ed unico per la mobility; convivere con le emozioni per quanto riguarda la femminizzazione.

DM: Quali aree alimentari corrispondono a queste esigenze?
SR: Sono delle aree che chiamiamo di vitality per l’aging, per il vivere meglio e più a lungo; un’area di self-expression che corrisponde alla feminization della società; un’area di autenticità del cibo che risponde alla virtualizzazione; e infine un’area che corrisponde alla flessibilità. Poi a queste aree corrispondono delle parole chiave, dei trend veri e propri.
Nel caso dell’aging-vitalità troviamo i concetti di prevenzione-o anti-aging – come i prodotti segnalati come “a basso contenuto di..” oppure “arricchito con..”-.
Da queste riflessioni sono poi state individuate le tendenze principali del food. Per quanto riguarda aging e vitality, troviamo: la categoria del pharmafood, cibi arricchiti con contenuti quasi farmaceutici per portare benefici alla persona in termini di benessere; la categoria del natural power, che si riferisce al concetto di naturale reso sempre più estremo come, ad esempio, nel caso della patata al selenio o delle cosiddette “linee benessere” nei surgelati.
Per quanto riguarda la self-expression, le parole chiave sono creatività, ispirazione, condivisione. Le due tendenze del cibo sono: il feelfood, come i finger food, che richiamano un’esperienza di piacere multisensoriale; il mefood, ossia i vari preparati che aiutano a cucinare in fretta, ma che riescono a rappresentare comunque un’esperienza di espressione della propria personalità.
Questi elementi sono i presupposti per creare domanda e desiderio. Per rispondere alla domanda “come possono crescere le aziende o comunque mantenere la propria consolidata posizione”, la premessa basilare è la capacità da parte delle imprese di creare questo tipo di coinvolgimento e a tali livelli.

DM: Dalla ricerca emerge, infatti, che se le aziende seguiranno queste tendenze potranno ottenere una crescita del 100%. In che modo avete ottenuto tali risultati?
SR: Quel risultato non è il frutto di un calcolo, ma sta a significare che se crescita ci sarà, essa sarà legata alla capacità di presidiare quelle aree.
Considerando la situazione stagnante del mercato, la crescita si verifica solo con la capacità di presidiare queste aree con nuovi prodotti.