Granoro e l'allarme energetico
Granoro e l'allarme energetico
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di Maria Teresa Giannini
È una giornata di fine settembre quella in cui il responsabile acquisti e del progetto Dedicato di Granoro, Giandomenico Marcone, ci riceve nel suo ufficio: la sua espressione appare più provata di come lo avevamo lasciato ad aprile, quando le difficoltà legate alla guerra in Ucraina facevano appena capolino.
Oggi, infatti, al pastificio coratino si dicono preoccupati soprattutto a causa del caro energia, nonostante le 80mila tonnellate di vendite a volume e un fatturato che nel 2021 ha toccato gli 80 milioni. E dire che in estate l’azienda è stata insignita del logo “Marchio storico di interesse nazionale”.
Ai primi di luglio avete ricevuto dal Mise questo riconoscimento: cosa significa per voi?
Ci ha inorgoglito molto: lo abbiamo inteso come la conferma del nostro legame cinquantennale con il territorio e del fatto che non tutte le aziende italiane con una grande storia finiscono in mano straniera.
Il vostro amministratore delegato, Marina Mastromauro, ha dichiarato più volte, fra giugno e agosto 2022, che il pastificio sta lavorando in perdita per evitare licenziamenti e che la situazione dei consumi è grave: cosa può dirci a riguardo?
Purtroppo, dobbiamo registrare una diminuzione delle vendite a volume del 10% progressivo nel 2022. È pur vero che ci confrontiamo con due anni eccezionali, il 2020 e il 2021, in cui, a causa della pandemia, i consumi erano esplosi. Le persone si stanno rivolgendo sempre più ai discount che, come è noto, non offrono quasi per nulla marchi industriali a scaffale. Uno dei pochi aspetti positivi è che, nonostante questo scenario, la linea premium Dedicato (realizzata solo con grano 100% pugliese, ndr) stia reggendo molto meglio di altre nostre linee. Del resto, finora, molti pastifici hanno assorbito i costi per non riversarli sul consumatore, ma se si continuerà di questo passo, nel giro di 3-4 mesi anche la pasta potrebbe subire rincari.
Com’è nel circuito dei piccoli negozi della vostra roccaforte, la Puglia, dove i vostri prodotti si distribuiscono in maniera capillare e siete molto radicati?
In Puglia e nel resto del Sud il mercato è più compresso rispetto al Nord Italia, dove l’offerta è più inflazionata. Per questo il canale tradizionale è riuscito a mantenere i propri volumi classici, anche perché, a causa dei costi dei carburanti, si è tornati a comprare nei negozi di prossimità e si è ridotto l’afflusso verso i centri commerciali e gli ipermercati.
Sul fronte delle esportazioni, avete visto dei cambiamenti durante questi 6 mesi dall’inizio della crisi russo-ucraina?
Se consideriamo l’export nell’insieme, anche in questo caso, come per il mercato nazionale, parliamo di un -10% a volume. Le difficoltà che incontriamo sono determinate da una molteplicità di fattori. Uno di questi, oltre alla ben nota scarsità di materiali per il packaging, è il riassetto delle valute internazionali che sta sconvolgendo i flussi economici: il dollaro è tornato forte e, malgrado gli Stati Uniti siano una delle nostre mete, negli ultimi tempi i mercati in più rapida ascesa per Granoro sono i Paesi mediorientali e dell’Estremo Oriente, come Corea e Giappone. Un altro fattore importantissimo per capire quanto la concorrenza stia diventando agguerrita è il costo dell’energia: la Turchia è capolista delle nazioni che si candidano a sorpassarci, o, per lo meno, a eguagliarci, agevolati dal fatto che noi paghiamo l’energia il 300-400% in più rispetto a due anni fa. Ma non è l’unico: ci sono anche l’Egitto e la Spagna, che negli ultimi 2 anni e mezzo hanno operato scelte di transizione ecologica efficaci, che, nel caso del Paese iberico, hanno portato a pagare l’energia molto meno dell’Italia.
Sull’export però le diminuzioni di volume sono in parte compensate dall’aumento dei prezzi…
Certo, ma questo non si traduce in un valore che torna per intero a noi produttori. E soprattutto non attira nuovi consumatori in mercati in cui, per tradizione, la pasta non è un bene primario, come invece in Italia. All’estero, soprattutto negli States e nei Paesi orientali, 500 grammi di pasta costano in media 2,30 dollari, dunque più del doppio. Questo prezzo a scaffale è l’ultimo passaggio dopo i costi dell’intera filiera e i costi di gestione del pastificio, ormai altissimi. In quelle aree, dunque, pur avendo conquistato fette considerevoli di mercato, la pasta rimane un bene di fascia premium, di cui si può sensibilmente ridurre (se non eliminare) l’acquisto in momenti di crisi.
Ciononostante, state predisponendo contratti con altri distributori, rispetto a quelli già in essere?
Lo stiamo facendo con la linea Dedicato: all’inizio dell’anno abbiamo siglato un nuovo accordo di fornitura con Aspiag.
In questi ultimi sei mesi c’è stato spazio di manovra per cambiamenti nella vostra offerta?
Stiamo spingendo molto sulla linea Cuore mio, così chiamata perché realizzata con la farina di orzo ricca di betaglucani che riducono il colesterolo. Il mercato italiano sta rispondendo, anche se non con l’entusiasmo di quello francese, dal quale riceviamo ottimi riscontri, anche per quanto riguarda la linea biologica.
Anche Granoro, come altre aziende energivore, ha chiesto alle istituzioni che si intervenga sul prezzo dell’energia: il price cap a cui 15 paesi nell’Ue sono favorevoli, vi aiuterebbe?
Il price cap potrebbe essere utile per evitare che la situazione precipiti, ma non basta. Se si arriverà a stabilire come tetto massimo la cifra attuale, ossia circa 210 euro per Mw/h, i costi a cui far fronte risulterebbero 6-7 volte maggiori rispetto al 2019. L’Italia sconta più di altri Paesi una cattiva gestione del problema energetico e una visione miope in merito all’approvvigionamento, che ci ha – metaforicamente – legati per mani e i piedi a un solo fornitore: qualcosa che, per esempio, nessuna azienda può permettersi, perché troppo rischioso. Dal canto nostro, abbiamo un impianto di tri-cogenerazione, che a regime produce energia termica ed elettrica per il 70-l’80% del nostro fabbisogno. Tuttavia, si tratta di un impianto alimentato a gas, che dunque è al momento fermo a causa dei prezzi insostenibili di questo combustibili, facendo sì che il pastificio debba alimentarsi per intero a energia elettrica. Adesso è importante che le istituzioni azzerino l’aumento per il futuro o le aziende, pur guadagnando milioni, non riusciranno comunque a pagare le bollette. Le energie rinnovabili come eolica, solare, marina, geotermica, tutte insieme potrebbero coprire una percentuale del fabbisogno, ma anche sotto l’aspetto del loro sfruttamento siamo notevolmente “timidi”. Forse non è troppo tardi, ma bisogna sicuramente agire in fretta.
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