Codè Crai Ovest, nata nel 1915 e con sede centrale nel comune di Leini, all’interno dell’area metropolitana di Torino, punta sullo sviluppo e, come vedremo, sull’efficienza. Forte di 330 punti vendita in 4 regioni (Piemonte, Lombardia, Liguria e Valle d’Aosta) e di un fatturato che ha raggiunto, nel 2019, i 316,12 milioni di euro (fonte Report Aziende-Consodata), il gruppo ha varato, per il 2021, un piano di 15 aperture. Il programma, in fase di svolgimento, concerne, per oltre la metà (8 opening), la Lombardia e poi altre regioni, con particolare riguardo per la Liguria. Ne abbiamo parlato con Roberto Desogus, Direttore sicurezza, qualità e prevenzione rischi, con il quale abbiamo anche fatto il punto sugli interventi che la pandemia ha resto imprescindibili.

Perché queste due regioni?

Ovviamente perché qui la nostra rete è meno diffusa, nonostante la Lombardia conti già più di 80 punti vendita. In Piemonte, certo, non ci fermeremo, ma faremo rotta soprattutto sulla provincia di Torino. Altra zona che ci interessa molto è l’area di Genova, insieme a quella del Levante.

Quali format privilegerete?

Abbiamo tre tipologie di negozi: Cuor di Crai, per l’ultraprossimità, Crai per i supermercati da 250 a 500 mq e Crai Extra, da 800 mq. Il secondo format è anche il nostro core business e sarà dunque il più interessato dallo sviluppo rete, anche se intendiamo parallelamente portare avanti Crai Extra.

Facciamo un passo indietro. Quali sono state le misure prese durante l’emergenza Covid?

Avendo già una funzione per la tutela della sicurezza sul lavoro, della qualità e per la prevenzione dei rischi, siamo partiti, con un certo vantaggio, anche se non si è trattato solo di applicare le regole dettate dai vari Dpcm. Noi abbiamo deciso di andare oltre, adottando, per esempio, non le semplice mascherine chirurgiche, ma anche, e su larga scala, dispositivi di protezione individuali come le Fpp2, specie per i soggetti maggiormente esposti a contatti sociali e per tutte le persone che ogni giorno entrano nella nostra sede.

Sono molte?

Moltissime. Il nostro quartier generale occupa 90.000 mq, di cui quasi 40.000 di magazzini, dove sono occupati circa 130 addetti tra impiegati e funzionari e 250 addetti di magazzino ai quali vanno sommati fornitori, vettori, manutentori… per arrivare a una media di 500-600 persone al giorno. In un contesto simile i rischi aumentano, anche se gli individui sono destinati a disperdersi sulle ampie metrature. Anche per gli esterni è stato introdotto l’obbligo di comunicare eventuali sintomi e avvisaglie di coronavirus e di compilare un’autocertificazione, mentre il nostro personale, a fronte di qualsiasi periodo di malattia, è stato sottoposto, al rientro, anche se dichiarato non a rischio Covid dai medici di base, a test sierologici e a tamponi molecolari.

Altre misure?

Impossibile citarle tutte, ma proverò a fare un elenco: manutenzione continua degli impianti di aerazione, mantenimento rigoroso del distanziamento sociale - specialmente negli uffici, dove le persone vivono in ambienti più piccoli e chiusi -, vigilanza delle presenze per quanto riguarda le aree comuni, come zone di ristoro e servizi igienici, installazione di termoscanner per la rilevazione della temperatura e di rilevatori di presenza per mantenere le giuste distanze, potenziamento degli addetti alla security…

Quali sono state la maggiori complessità del suo lavoro?

Cominciamo dai punti vendita. Quasi tutti i responsabili di negozio si sono ritrovati in una condizione problematica. La pandemia era qualcosa di nuovo e spaventoso e le norme cambiavano di continuo. Posso dire che abbiamo dato tutta la consulenza possibile ed emanato sempre circolari chiarificatrici. E questo si riallaccia a un altro problema: gestire norme che non solo si avvicendavano, ma in cui si intersecavano regole nazionali e regionali, per giunta di quattro regioni diverse. Ma la cosa peggiore, credo, è stato reperire tutto il necessario – mascherine, disinfettanti, guanti – che sono mancati davvero, almeno nella primavera del 2020 e nonostante, da distributori, avessimo fonti di approvvigionamento privilegiate rispetto ai cittadini. Tutto questo e, compresa la predisposizione dello smart working, è costato svariate decine di migliaia di euro.

Ritiene che lo smart working continuerà?

Come security manager penso proprio di sì, anche perché, nonostante l’ottimo lavoro svolto con la campagna vaccinale, avremo a che fare ancora per molto tempo con misure di prevenzione e dovremo adottare la massima prudenza. Nessun virus passa dall’oggi al domani. Del resto, considero il lavoro a distanza un progresso, da vari punti di vista, specie per noi italiani, che non eravamo abituati a questa modalità. Pensiamo solo a tutta una serie di impatti ambientali causati dai tragitti dalla casa all’ufficio, o a tutti i consumi in più, per esempio energetici, che si generano frequentando, ogni giorno, una sede di lavoro esterna. Questo non vuol dire smart working per sempre e indiscriminatamente, ma quando serve e quando è utile per la società, le aziende e i lavoratori stessi. Insomma, la lezione del Covid è che, su questo tema, bisogna essere molto più flessibili.

Oltre alle procedure legate alla pandemia, ci sono state altri interventi significativi?

Certamente. Nel 2020 abbiamo svolto parecchie opere di efficientamento presso la sede centrale. La nostra piattaforma dei freschi, per esempio, è stata suddivisa in modo più razionale, assegnando un 50% dello spazio a salumi e formaggi e un 50% all’ortofrutta. Tutte le vecchie centrali frigorifere sono state sostituite con apparati di nuova generazione ad alto rendimento e abbiamo rimpiazzato una centrale termica a GPL con una pompa di calore che. I nuovi apparati garantiscono una migliore conservazione e un significativo abbattimento dei consumi energetici. Lo stesso per l’area dei secchi, dove è stata installata una centrale termica a compensazione, molto più efficiente e con consumi di Gpl particolarmente bassi e installata, anche qui, una nuova pompa di calore per la produzione del condizionamento estivo. Infine, abbiamo programmato, per settembre, il rifacimento dei sistemi di illuminazione, che si baserà sulle lampade a led e su sensori gestibili in remoto, in modo da regolare il consumo in funzione dei reali bisogni. Non mancheranno nemmeno i sistemi ‘smart meter’, che ci permetteranno di analizzare e razionalizzare i momenti di picco energetico.