“Salesforces effectiveness” è un metodo scientifico per aumentare l’efficacia della forza vendita e di conseguenza i ricavi. I principi sono relativamente semplici e possono sembrare scontati, ma non è così. Ce ne parla Mauro Anastasi, partner presso Bain & Company, leader internazionale della consulenza strategica e organizzativa.

Cosa serve oggi per determinare il successo di un negozio?
Avere un negozio ben arredato e fornito, magari in una location importante, come il centro storico, o lo shopping center, non è sufficiente per vendere. Se è vero che questi elementi contano, è altrettanto vero che non bastano più. Perché oggi, con una competizione sempre più intensa, servono dati e previsioni affidabili. Il commercio è diventato un esercizio difficile, quasi scientifico, da supportare con dati e analisi quantitative. Bain & Company ha una soluzione proprietaria di “Salesforce effectiveness” con cui ha supportato molti clienti anche in Italia. Una soluzione basata su tre elementi chiave (programmazione, incentivi e formazione) testati con molti clienti attraverso simulazioni quantitative, pratiche di mistery shopping ed esperienze “sul campo”, in appositi punti vendita pilota, e poi implementati in tutta la rete.

Quali sono, dunque, gli elementi imprescindibili?
Allo stato attuale ne esistono molti che contribuiscono al miglioramento dell’efficacia della forza vendita, con una diversa incidenza da settore a settore. Al primo posto è lo scheduling, cioè la capacità di programmare il tempo del personale di punto vendita dedicato al cliente (e l’area da presidiare) in funzione del traffico atteso di clienti. Per raggiungere un risultato ottimale in questo senso spesso serve anche ridisegnare alcune delle attività e dei processi (e dell’organizzazione) di punto vendita (per esempio in che modo e quando si effettuano attività di supporto, in che modo il personale interagisce con la Sede, ecc.), per liberare tempo del personale a servizio del cliente. Sembra banale, ma moltissimi retailer hanno ancora del potenziale rilevante in questo senso. Altro elemento nodale è una sana politica di incentivi, in funzione delle vendite effettivamente sviluppate da ciascuna persona e tracciate (cosa fattibile ma molto spesso non presente). Questo, come d’altra parte anche il lavoro su processi e scheduling di cui si parlava prima, può anche suscitare le ire dei sindacati e suonare come una “discriminazione”, ma in realtà anche in Italia si può fare, gestendo con le modalità corrette le relazioni industriali. Una corretta politica di incentivi dà forti motivazioni: la promessa di un maggiore guadagno innesca logiche di cross selling, tiene alta l’attenzione verso il cliente, stimola il rispetto del proprio lavoro e quindi l’autostima.

È una scelta difficile?
Il tema principale continua l’interlocutore è decidere se sia meglio l’incentivo individuale o quello collettivo. Il primo è molto efficace, ma rischia di alimentare la competizione interna, minando i rapporti fra colleghi. L’equilibrio si può trovare in un premio di gruppo, seguito poi da adeguamenti ad personam. Il metodo è più complesso, ma comunque gestibile con gli strumenti adatti. Il tasto dolente dei costi è invece una preoccupazione quasi inutile, visto che il sistema, se ben funzionante, si autofinanzia grazie alla crescita dei ricavi.

Cosa succede quando non si raggiunge il target di vendita?
Dalle analisi si riscontra, il più delle volte, la presenza di uno o più addetti che non riescono a tenere il passo. Pigrizia, negligenza? No. Spesso si tratta solo di persone messe al posto sbagliato: non è affatto detto che un commesso che non sa fare il proprio lavoro non dia ottimi risultati in un ruolo a lui più congeniale. Così, da una prassi che può apparire intrusiva, derivano vantaggi per tutti. Altro tema nodale è la formazione, un concetto acquisito solo in apparenza. Invece mentre si fa molta formazione sul prodotto, spesso per merito dei fornitori, la preparazione alla vendita e al rapporto con il cliente finale in molte realtà scarseggia, per una attenzione ai costi che talvolta perde di vista l’incremento delle vendite.

Questi elementi incidono allo stesso modo in tutte le realtà commerciali?
Il giusto mix tra programmazione, incentivi e generazione di una cultura specifica, cambia a seconda dell’azienda e della composizione assortimentale. La formula magica non esiste. Esistono, invece, settori dove la programmazione e il ridisegno dei processi sono gli elementi più rilevanti, come per esempio la Gdo, e altri, pensiamo all’abbigliamento, alla cosmesi, al brico, all’elettronica, agli articoli per animali, al retail aeroportuale, in cui a fare la differenza sono la strategia formativa e di incentivo e la capacità di assicurare una shopping experience memorabile. Penso che moltissimi retailer abbiano spazi di crescita e miglioramento che non vengono esplorati per altre priorità o per paura del cambiamento.