Heura Foods accelera sul mercato italiano
Heura Foods accelera sul mercato italiano
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Heura Foods, start-up spagnola di carne vegetale con la missione di guidare il cambiamento dell’industria alimentare attraverso soluzioni che superino l’approccio basato sulla consumazione di carne animale, ha chiuso il primo semestre del 2022 con un fatturato di 14,7 milioni di euro, in forte crescita rispetto ai 7,6 milioni registrati nei primi sei mesi dello scorso anno.
Presente sul mercato italiano dal 2021 in diverse catene della Gdo e nel canale food service, l'azienda punta a espandersi in Italia e ad affermarsi come brand di riferimento nel comparto della carne plant based. Ne abbiamo parlato con Bernat Añaños, co-fondatore di Heura Foods.
Quando e come è nata Heura Foods?
L’azienda è nata in Spagna nel 2017 come movimento attivista in difesa degli animali: inizialmente contavamo su risorse limitate, ma il crescente favore del pubblico ci ha spinti a creare un nuovo brand. Con il tempo abbiamo ampliato la nostra offerta, dimostrando alla Gdo che una buona fetta dei consumatori cercava prodotti affini ai nostri, non solo gustosi e rispettosi dell’ambiente, ma anche salutari e genuini. I nostri prodotti sono semplici, realizzati con pochi ingredienti e prestiamo grande attenzione alle materie prime e le nostre etichette corte rispecchiano il rispetto verso la nostra tradizione culinaria.
Quando siete arrivati in Italia?
L’azienda è sbarcata sul mercato italiano a febbraio del 2021 e oggi i nostri prodotti sono già presenti in 620 punti vendita della grande distribuzione. L’insegna che presidiamo maggiormente è Carrefour, ma siamo presenti anche in Iper, Alì e Tigros. Cresciamo, inoltre, nel canale food service dove serviamo catene che dispongono di oltre 250 punti vendita e siamo attivi anche nell’e-commerce.
L’obiettivo è quello di continuare a crescere in questi canali, ma anche di affermarci come brand di riferimento nel comparto della carne plant based: alla base c’è la volontà di guidare gli shopper attraverso il passaggio, che interessa sempre di più l’industria alimentare, dal consumo di proteine animali a quello di proteine vegetali. Ciò è possibile anche perché il brand Heura nasce fin dall’inizio come marchio specializzato in prodotti plant based, proprio come dimostrato dalle nostre etichette.
Come vi muovete sul fronte della comunicazione proprio alla luce del fatto che siete un’azienda con caratteristiche differenti rispetto alle altre?
La creatività parte dalla sede spagnola e siamo impegnati su diversi canali, soprattutto i social network attraverso i quali informiamo i consumatori sul perché alcune scelte a tavola possono fare la differenza in termini di impatto ambientale. Ci avvaliamo della collaborazione di professionisti e creativi che sposano la nostra filosofia e di collaboratori che hanno a cuore i nostri valori e ci aiutano a portare avanti la nostra mission.
Organizziamo, inoltre, campagne più “classiche” come quella che è stata lanciata in occasione della Pasqua il cui slogan recitava “Questo Venerdì Santo mangia carne”: in questo caso, la campagna si ricollegava a un altro valore al quale siamo molto legati, ossia quello delle tradizioni gastronomiche che cerchiamo di preservare, ma al contempo di condurre verso un ridotto impatto ambientale. Prendiamo parte, infine, a numerosi eventi, tra cui la Design Week e il Miami Festival: kermesse di questo tipo ci consentono di far provare il nostro prodotto al pubblico ed è proprio il “tasting” uno dei mezzi che ci consente di abbattere i pregiudizi nei confronti della carne vegetale.
Qual è il vostro target di riferimento?
Ci rivolgiamo a tutti, ma ci concentriamo in modo particolare sui carnivori proprio perché è la categoria che ci preme “convertire” alle proteine vegetali.
I dati in nostro possesso mostrano che chi è già vicino al nostro brand è già un passo avanti verso la transizione alimentare.
Parliamo della community Good Rebels…
L’azienda si divide in due rami: Good Rebel Community e Good Rebel Tech. Il primo svolge attività di sensibilizzazione alla transizione, il secondo crea ciò che poi distribuiamo. Il compito di questo secondo ramo è quello di creare i “successori” e non le alternative alla carne animale.
Un prodotto successore deve avere tre peculiarità rispetto alla carne: deve essere più sostenibile, deve essere gradevole al gusto e deve essere più sano grazie anche al ridotto contenuto di grassi saturi.
Per quanto riguarda i prezzi invece?
L’idea è quella di offrire prodotti che possano essere reperibili nella quotidianità. Siamo molto migliorati in termini di convenienza e man mano che il pubblico acquisterà i prodotti per noi sarà più semplice lavorare sulla diminuzione dei prezzi. L’obiettivo è quello di raggiungere la parità di prezzo con la carne tradizionale entro il 2025 per buona parte delle nostre referenze. Al momento, comunque, siamo allineati ai nostri competitor nel comparto del plant based pur disponendo di una qualità di prodotto più elevata: le proteine della soia e del pisello, infatti, non contengono né coloranti né conservanti e le coltivazioni da cui ci approvvigioniamo non possono praticare la deforestazione. Tra i nostri obiettivi c’è proprio quello di portare i prodotti plant based ovunque e a questo scopo collaboriamo anche con la Caritas.
Qual è il potenziale per un'azienda che fa prodotti plant based in Italia?
Il 2% della popolazione italiana è vegana, il 9% è vegetariano, mentre nel restante 90% sono molto diffusi i flexitariani, ossia coloro che dichiarano di voler ridurre il consumo di carne e pesce. Il mercato plant based meat in Italia oggi vale 113 milioni di euro e nel 2021 è cresciuto del 39% rispetto all’anno precedente; il mercato complessivo dei prodotti sostitutivi da proteine vegetali (latte di soia, pollo vegetale) vale 514 milioni, ma i numeri sono in crescita e il tasso di penetrazione nella Penisola è del 55%. Cresce anche la frequenza d’acquisto, con una spesa media di 25 euro all’anno in prodotti plant based: il consumo si sviluppa principalmente in Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio, così come nell’horeca le città che trainano il mercato sono proprio Milano, Bologna e Roma.
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