di Luca Salomone

Fra le vittime della guerra di Putin, c’è anche il discounter russo Mere, di gruppo Svetofor. Poco meno di un anno or sono, forte dei suoi 3.000 punti vendita, sembrava che dovesse espandersi in mezza Europa centro occidentale: Belgio, Germania, Spagna, Francia, Gran Bretagna…

Però, già all’inizio del 2022, moltissimi giornali, italiani ed esteri, specializzati o meno, parlavano apertamente di un naufragio, dato che le aperture erano molto ridotte, se confrontate con i programmi iniziali.

Questo il conto: sei negozi in Germania, tuttora operativi, 4 in Spagna, niente in Belgio e Francia, dove alcune location erano già state opzionate, e tanto meno Italia, dove comunque nemmeno filtravano indiscrezioni sui futuri sviluppi di carattere edilizio.

Il negozio di Preston chiude i battenti

Lo scoppio del conflitto ha dato il colpo di grazia: il punto vendita inglese, ubicato a Preston, nel Lancashire, la scorsa settimana ha abbassato le saracinesche, non si sa se in modo provvisorio o definitivo.

Motivo ufficiale: il timore del retailer di essere travolto dallo tsunami di aperta avversione – si pensi al bando della vodka decretato dalle maggiori catene internazionali - che ha colpito tutto ciò che è russo. E dire che, proprio verso il Regno Unito, l’insegna nutriva le maggiori ambizioni, con un progetto, si dice, di ben 300 opening.

Lo stesso in Francia, dove il primo Mere avrebbe dovuto aprire i battenti a Thionville, nella Mosella. Dopo avere depositato il progetto edilizio, a metà febbraio, il costruttore si è scontrato, nei giorni scorsi, con il no del sindaco, Pierre Cuny.

Un modello 'impossibile'?

Più ingarbugliata la vicenda spagnola. In terra iberica Mere puntava a una quarantina di opening, dopo i primi quattro insediamenti, di cui tre nella zona di Valencia – ad Aldaia, Gandia e La Pobla de Vallbona - e uno nell’area di Madrid, a Parla. Ma già a fine gennaio, ossia un mese prima dell’inizio della guerra (24 febbraio), la stampa locale aveva dato notizia del piano di fuoriuscita dal Paese, a partire dalla metà di febbraio. E, in effetti, a cercarli su Google, i negozi spagnoli vengono dati tutti come ‘definitivamente chiusi’.

Proprio il caso iberico porta a pensare che l’antisovietismo c’entri ben poco e sia solo, appunto, un colpo di grazia.

Quello che non ha funzionato è, presumibilmente, il modello, che pure sembrava una grande idea in tempi di Covid e di scorte. Nonostante Mere prometta livelli di prezzo del 20-30% inferiori a quelli di Lidl e Aldi, gli occidentali non sono per niente abituati a orientarsi in assortimenti che non assicurano una continuità di marca, essendo interamente basati su lotti svenduti dall’industria, per alleggerire i costi di giacenza.

Aggiungiamo l’estrema frugalità degli ambienti, di fatto privi di scaffali e quindi ben lontani dai gusti dei Paesi ricchi, abituati, in tutto, alla cosiddetta ‘supermecatizzazione del discount’.